Informatore per il braccio armato della dittatura argentina nel 1978, Ulrich lavora con le immagini: immagini fotografiche o realizzate da cineprese amatoriali. È questo un dettaglio forse didascalico, dal momento che il modo in cui il regista Emiliano Serra (al suo primo lungometraggio di finzione) “utilizza” il suo personaggio principale, ovvero il modo in cui lo riprende e lo definisce a livello di scrittura, lo rendono a sua volta una “macchina da presa”: la narrazione procede soltanto quando lui è presente e lo spettatore vede e sente soltanto ciò che vede e sente Ulrich. Inoltre, l’impassibilità del volto del protagonista (interpretato da Gabriel Rosas) e l’impostazione monocorde della sua voce, capace di leggere con la stessa intonazione un rapporto confidenziale e un articolo sugli imminenti mondiali di calcio, rimarcano l’idea di una freddezza che solo una macchina o un oggetto inanimato potrebbero avere. Sono gli occhi, non a caso, il solo tratto espressivo.
Ed ecco allora che Corresponsal si configura come un piccolo film-saggio sul punto di vista e sulla soggettività. Da questa prospettiva, il pedinamento di un professore sospettato di prendere parte ad attività sovversive che sfocia in tragedia e nel senso di colpa (una sorta di Il conformista di Bertolucci trasposto ai tempi della giunta militare argentina) e altri risvolti melodrammatici poco o nulla aggiungono a un film che forse avrebbe potuto osare di più stilisticamente. Tuttavia Corresponsal è capace di interrogare la Storia e il suo sguardo, uno sguardo che non è meno impassibile di quello del suo protagonista.
Alessandro Pomati