“Il nostro lavoro è vedere cose che non ci sono”, dice l’ecologa Monica Gagliano al suo collaboratore Alessandro Chiolerio. I due si trovano sulle alture della Val di Fiemme qualche anno dopo la tempesta Vaia del 2016: il loro obiettivo è utilizzare le tecniche della bioacustica per captare ciò che è rimasto impresso nella “memoria” dei boschi delle Dolomiti a seguito del disastro ambientale. Impresa non facile, visto che gli alberi stanno cominciando a morire a causa di un’epidemia di bostrico, un insetto appartenente alla famiglia dei coleotteri e “specializzato” nel consumare l’abete rosso, ovvero l’albero scelto per la monocoltura della zona in cui i due scienziati stanno facendo ricerca. È solo questione di tempo prima che gli operatori della guardia forestale raggiungano il sito per abbattere gli abeti oggetto dello studio di Gagliano e Chiolerio.
Immerso nello scenario del bosco, lo spettatore si trova di fronte alla registrazione di una registrazione: i tentativi di Chiolerio e Gagliano di ascoltare ciò che le piante comunicano (poi convertito in tracce audio visibili sullo schermo di un computer), le fototrappole che osservano la vita del bosco in superficie, le riprese effettuate col telefonino dagli scienziati stessi. Una modalità di racconto “multischermo”, che documenta un percorso portato avanti per cinque anni e culminato narrativamente in un’eclissi parziale di sole dell’ottobre del 2021; un evento che, leggendo i dati raccolti dai dispositivi di registrazione, ha segnato un momento di inusitata comunicazione tra gli abitanti del bosco, e del quale si è mantenuta una traccia ancora adesso oggetto di studio da parte del duo di scienziati.
Alternando la tradizionale “macchina a mano” del documentario osservativo a momenti di ben più elaborata composizione del quadro capaci di restituire la maestosità e le suggestioni del bosco, Bernard e Ceretto si inseriscono a pieno titolo nella tradizione del nuovo documentario italiano e sembrano farlo in maniera quasi polemica. Il film, infatti, si apre con un vecchio cinegiornale sulla Val di Fiemme, della quale venivano elogiate, in maniera retorica e superficiale, le bellezze naturali e le antiche tradizioni: vedere le cose “che non ci sono” è indubbiamente difficile, ma documentare quelle che si vedono in superficie non deve essere necessariamente più facile, sembrano dire i due registi.
Alessandro Pomati