Con Lonely Seventeen, nel 1967 Pai Ching-jui realizzava un’opera manifesto: un affresco dell’adolescenza e delle sue problematiche, all’interno di un contesto culturale e sociale problematico per via della censura e del controllo statale. A oltre cinquant’anni di distanza, Lonely Seventeen – un titolo di per sé evocativo — offre ancora un racconto fortemente attuale nel ridestare sentimenti e sensazioni assopiti da tempo.
In un crescendo di turbolenze emotive, la pellicola esplora con delicatezza l’intimità e i desideri non compresi della giovane diciasettenne Tan-mei (Tang Pao-yun), diligente studentessa alle prese con la sua prima cotta per il cugino Feng (Ko Chun-hsiung), promesso sposo di sua sorella. Dopo la sua morte in un incidente d’auto, Tan-mei, ritenendosi responsabile dell’accaduto, si chiude in un silenzio che risulta inspiegabile sia per la sua famiglia che per la scuola. La giovane protagonista – che caparbiamente non accetta di essere stigmatizzata come soggetto instabile -, diventa il fulcro di un discorso che tenta di scardinare alcuni tabù sociali, come la salute mentale, e di ribaltare le prevaricanti ingerenze genitoriali nelle scelte dei figli.


Presentato al Far East Film Festival di Udine del 2025 in versione restaurata, Lonely Seventeen mostra tutta la sfolgorante bellezza estetica di una messa in scena attenta ai soggetti rappresentati e all’elegante palette cromatica. Ma non è solo la forma ciò che colpisce: Pai Ching-jui, infatti, realizza un’opera che critica lucidamente le ipocrisie della società alto borghese taiwanese del tempo, asservita a compiacere – e rispettare — la politica coercitiva del “Sano Realismo” promosso dal CMPC.
Attraverso la beffa e il sarcasmo, il film si fa portavoce di una critica sociale che investe l’istituzione familiare e tutte le altre istituzioni preposte alla protezione dei giovani. La società dipinta nel film, infatti, non ammette debolezze, ma ricerca soltanto la perfezione sia del corpo sia della mente. E se in tale constatazione risiede il lato drammatico della vicenda personale di Tan-mei, è proprio questo aspetto ad essere mitigato dal rovesciamento di prospettiva offerto dalla storia di Tan-mei. Una parabola formativa, che attraverso l’eleganza formale e la delicatezza dei colori pastello, contribuisce ad amalgamare ironia nera e ferocia comunicativa.
La retrospettiva del Far East Film Festival, che include anche Accidental Trio (1969) e Goodbye Darling (1970), rende un sentito tributo e omaggio al regista Pai Ching-jui con questo gioiello raffinato della new age del cinema taiwanese.
Alessandra Sottini