“Se un diabetico commette un reato e viene arrestato, durante la sua permanenza in carcere riceve cure adeguate per la sua malattia. lo stesso non si può dire per coloro che sono malati di mente”: Peppe Dell’Acqua – psichiatra e attivista per la riforma del trattamento dei criminali malati di mente – riassume con una battuta la situazione in Italia per quanto riguarda l’adeguamento della sentenza della Corte Costituzionale che nel 2003 ha dichiarato illegittimi gli OPG, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. È proprio lui, che ha dedicato gran parte della sua vita alla sensibilizzazione sulla materia, il fantino del cavallo Marco nel film di Erika Rossi e Giuseppe Tedeschi.
Il viaggio di Marco Cavallo è un documentario che si apre con materiale found footage girato a Trieste nel ’78 all’indomani della Legge Basaglia, quella normativa che ha avviato la riforma dell’organizzazione psichiatrica in Italia col fine del superamento della logica manicomiale. Nel filmato assistiamo così alla collaborazione dei degenti per la costruzione di un cavallo di cartapesta, legno e acciaio: un simbolo di libertà e un monito per il futuro. Oltre trent’anni dopo, però, quel processo si è bloccato: una Commissione Parlamentare nel 2010 ha denunciato la condizione di vita di 1300 uomini e 100 donne ospitati in sei OPG nel nostro Paese. Marco deve uscire di nuovo dalla sua stalla, attraversando sedici città per un totale di 4418 chilometri. Assistiamo così al suo viaggio di denuncia.
All’interno film è .assente un’istanza narrante – eccezion fatta per le didascalie di apertura e chiusura – da parte dei registi, il che denota la scelta di porsi super partes limitandosi unicamente alla presentazione dei fatti: la Voce del documentario coincide con quella di Dell’Acqua. Lungo il viaggio egli adduce così prove della bontà del suo progetto, argomentando che la chiusura degli OPG permetterebbe di spendere una minore quantità di denaro in un modo più intelligente, e quindi con risultati migliori. Il viaggio di Marco Cavallo registra la lotta di un uomo contro istituzioni che non hanno interesse nel considerare il problema dell’arretratezza culturale del nostro Paese, e riesce nel suo intento senza ricorrere ad argomentazioni di natura compassionevoli o pietiste. Ma si spinge anche un po’ più là e chiede agli spettatori di abbracciare la causa, di non rimanere inerti. Li provoca. E se al Loro posto, ci foste Voi?