Paranoia, paranoia canaglia…
San Francisco. Harold Caul (Gene Hackman) è un tecnico della sicurezza specializzato in intercettazioni. Espertissimo in spionaggio elettronico, trascorre la vita nel più totale isolamento per potersi immergere completamente negli incarichi che gli vengono affidati, riducendo al minimo il contatto con il prossimo e troncando sul nascere ogni possibile rapporto interpersonale. Assorbito totalmente dalla propria professione, scopre a poco a poco che la razza umana è capace di azioni terribili, inimmaginabili. Azioni che in passato l’hanno profondamente sconvolto, rendendolo incapace d’interessarsi minimamente a ciò che registra. Gli importa solo che la registrazione sia perfetta, il suono “pulito”. Incaricato di spiare quella che pare essere una relazione extraconiugale, si ritrova ben presto catapultato al centro di una torbida vicenda più grande di lui, capace di soffiargli via quel poco di dominio che aveva su un’esistenza precaria, fatta di assoli musicali e pezzi di vita altrui…Lucido, spietato, forse uno tra i più grandi e significativi film dell’ondata paranoide che attraversò sottopelle gli Stati Uniti dopo l’affaire Watergate, La conversazione resta tra le migliori testimonianze visive di quel periodo e ancora oggi – nonostante variazioni sul tema (Blow Out di Brian De Palma [id., 1981]), presunti remake (Nemico pubblico di Tony Scott [Enemy of the State, 1998], con Will Smith e lo stesso Gene Hackman) e imitazioni da Terzo millennio (The Manchurian Candidate di Jonathan Demme [id., 2004], da Va e uccidi di John Frankenheimer [The Manchurian Candidate, 1962]) – è capace d’instillare dubbi, provocare brividi e assestare pugni allo stomaco che non si dimenticano.
A cavallo dei primi due episodi de Il padrino (The Godfather, 1972; The Godfather: Part II, 1976), Francis Ford Coppola scrive e dirige una desolante sinfonia a tinte fosche su una società ossessionata dal controllo – sulle cose, le persone, le loro vite – e dalla veridicità dell’informazione. Curatissimo nella colonna sonora dal bravissimo Walter Murch, La conversazione è un film nero, perfetto, raramente attraversato da lampi di violenza – più psicologica che fisica – che sono l’estensione distorta dei rapporti umani immersi in un oceano nero come la pece dove l’uomo può restare a galla solo pagando un amaro prezzo.
La privacy è un fatto arbitrario, opinabile e, in alcuni casi, punibile. La consapevolezza è un’oscena memoria da rimuovere per consentire al presente di ergersi sulle macerie di un passato del quale non è ancora facile dissipare ombre, fantasmi e scheletri nell’armadio della Storia. Hackman, a most wanted man schiavo di un mestiere alienante e morboso, spezza di tanto in tanto le proprie catene rifugiandosi in jam sessions jazz (canzoni di Duke Ellington, Coleman Hawkins, Roy Carter e Charlie Mingus) immerso in un appartamento spoglio, ultimo luogo sicuro – forse – dalle trappole sonore (e di coscienza) che lo attendono al varco.