La sezione ONDE – ARTRUM, nasce all’interno della rassegna della 33º edizione del TFF curata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, centro per l’arte contemporanea sempre attento alla contaminazione fra le diverse realtà artistiche, in collaborazione con Anna Lenna Films, produttrice di film d’arte da più di quindici anni. La rassegna comprende sei film che segnano un percorso sul laceramento dello spazio e del corpo, e attraverso un circuito di carattere ritmico, impongono allo spettatore un crescendum di forze visive e sonore.
Il percorso ha inizio con Untitled (Human Mask) di Pierre Huyghe, un cortometraggio di diciannove minuti che intende creare circostanze di decontestualizzazione del mondo animale. Il film si apre con le riprese fatte da un drone che esplora le macerie di quello che è rimasto dopo gli incidenti occorsi presso la centrale nucleare di Fukushima nel 2011. Poi ci troviamo in quello che era un ristorante dove, immersa nel buio e nel vuoto, una scimmia che indossa una maschera femminile e che è stata allenata come cameriera, ripete all’nfinito i gesti che le sono stati imposti.
Proseguiamo il percorso con Servitues (Film 7) di Jesper Just, artista che attraverso filmati e installazioni affronta questioni contemporanee complesse con narrazioni visive “senza fine”. Ancora una volta ci troviamo davanti a un corpo alterato, quello di un essere umano. Just esplora la relazione fra corpo e spazio pubblico e privato e ricerca l’individualità dentro lo spazio urbano seguendo i movimenti di un personaggio femminile. La ragazza, ripresa seduta mentre mangia mais, ha nelle mani dispositivi CPM che al contempo la aiutano e la ostacolano. Con un’attitudine che pendola fra il corteggiamento e l’apatia, ella appartiene ai cliché di bellezza e giovinezza e allo stesso tempo allude ad una situazione ambigua, tra accettazione dello status-quo e impossibilità di comunicare.
L’artista svedese Joanna Billing in Pulheim Jam Session intreccia musica, movimento e ritmo, donando un’enfasi particolare a individui in mezzo a rappresentazioni collettive. Con elementi fortemente performativi, Billing crea un traffic jam in cui studia i comportamenti e le relazioni che fioriscono nei volontari durante una domenica pomeriggio a Pulheim (Colonia). La colonna sonora è costituita dal Concerto Köln di Keith Jarrett, improvvisazioni per pianoforte eseguite al Teatro dell’Opera di Colonia nel 1975 (anno in cui Pulheim è stata dichiarata città autonoma).
In Theran-Geles Arash Nassiri porta il “laceramento spaziale” a una dimensione quasi poetica. A riprese aeree di Los Angeles vengono sovrapposte voci di migranti che fanno eco alla storia di Teheran e ai sogni di sviluppo e crescita che sono stati spezzati negli ultimi decenni. Los Angeles diventa lo scenario di questi sogni e di questo sviluppo non realizzato. I palazzi, le strade, le luci, le voci e il continuo movimento della macchina da presa e della città come organismo vivo e pulsante, portano allo spettatore in un viaggio quasi allucinogeno.
In Choque di Sophia Al-Maria riprese di vario tipo si sovrappongono in modo aleatorio alle immagini della serata in cui la FIFA annunciò gli ospiti della Coppa del Mondo del 2018 e 2022 in Qatar e in Brasile. Al-Maria mostra come l’esultanza nelle strade di Doha ha messo tra parentesi i problemi sociali e le discriminazioni di genere e di credo religioso; in alternanza vediamo immagini delle proteste popolari in Brasile.
Cutaways di Agnieszka Kurant chiude questa selezione. Ci spostiamo nel campo di un’indagine sul mondo del cinema. La regista parte da un discorso sui personaggi eliminati dalle sceneggiature di Hollywood, per parlarci di un tema politico: lo sfruttamento del lavoro nell’industria cinematografica americana. Il cortometraggio prende in considerazione tre personaggi di tre sceneggiature diverse e poi su un fermo immagine cita più di quaranta nomi di attori che dentro il sistema hollywoodiano hanno subito questi tagli, creando una specie di “cimitero di personaggi”.
Un esperimento molto interessante di decontestualizzazione dell’opera d’arte che, inserita nella sala cinematografica e insieme con altri lavori, crea una “nuova opera” con una sorta di nuova identità. Uno spazio che permette un avvicinamento non convenzionale dal pubblico all’arte contemporanea.