Molte risate in sala per il primo lungometraggio di Maha Haj, Personal Affairs, presentato nella sezione Festa mobile. Una commedia sorprendente ed esilarante ma che non manca di profondità.
Il film – il cui titolo originale è Omor Shakhsiya – ha come protagonisti una famiglia composta dai genitori Nabeela (Sanaa Shawahdehe) e Saleh (Mahmoud Shawahdehe) che vivono a Nazareth, immersi nella propria routine e isolati l’uno dall’altro; il figlio Hisham (Ziad Bakri) che vive a Stoccolma e sembra l’unico preoccupato per i genitori, forse per il senso di colpa che prova per averli abbandonati; Tarek (Doraid Liddawi) e Samar (Hanan Hillo), gli altri due figli, che vivono entrambi a Ramallah, in Palestina. Il primo sceneggiatore e regista alle prese con una fidanzata che vuole farlo crescere in fretta, e la seconda in procinto di dare alla luce il figlio che sta avendo insieme al marito Georges (Amer Hlehel), uomo semplice ma buono. A questi si aggiunge la nonna di Georges (Jihan Dermelkonian), una vecchina intrappolata nei ricordi della sua infanzia e nella sua stessa casa dalla demenza senile. Personaggi molto diversi tra loro, tutti descritti in maniera puntuale e interpretati da un cast per la maggior parte composto da non professionisti. Essi incarnano quei caratteri e quelle situazioni in cui ognuno può riconoscersi: la lontananza da casa e gli sforzi che bisogna compiere per tenere saldi i legami, la vita monotona di un matrimonio che dura da tanto, troppo tempo, e di cui nessuno ha il coraggio di ammetterne il fallimento, la responsabilità di doversi prendere cura di una vita che nasce e una che si sta perdendo. C’è poi una questione che riguarda trasversalmente i personaggi in quanto abitanti di quel luogo particolare: la Palestina. Più che il conflitto vengono raccontate tutte le sue implicazioni, quelle quotidiane, che nessun altro che non abiti in quelle terre può conoscere.
Ed è in questo che risiede la maestria della regista: nell’aver fatto un film politico che non si dichiara tale, giocando con il contesto dalla quale proviene, poiché – come afferma lei stessa – “da dove vengo io è impossibile fuggire alla politica”. Ammirevole inoltre l’attenzione per i dettagli e la scenografia semplice ma accattivante e dalla quale risulta evidente il passato della Haj che ha spesso lavorato come art director e head set decorator.
Plauso quindi a quest’opera dalla comicità elementare che non smette però di conquistare lo spettatore: un sorriso per ciascuno dei personaggi, ognuno alle prese con i propri “personal affairs”.