The Arbalest si muove su due piani narrativi ben collegati: il primo in cui l’eccentrico Foster Kalt “racconta” la sua storia in un’intervista e un altro costituito di numerosi flashback che arrivano a comporre il carattere del protagonista.
Nell’intervista, Foster Kalt, famoso creatore di giocattoli degli anni Settanta, ha un’unica ossessione: Sylvia Frank. La donna è divenuta un suo pensiero fisso tanto da spingerlo a spiarla e a perseguitarla.
La scenografia è ben studiata, mentre l’interpretazione degli attori risulta talvolta un po’ forzata . La scelte stilistiche di Pinney sono funzionali a mostrare in modo inusuale concetti e sensazioni comuni. I movimenti di macchina sono premeditati e ben motivati al fine di ottenere una resa non convenzionale.
Gran parte delle influenze dal punto di vista visivo provengono da Godard, da Weekend, da Il disprezzo o La donna è donna in cui i colori primari sono preminenti. L’obiettivo di Pinney, infatti, è proprio quello di far diventare personaggi veri e propri i colori, le immagini e la scenografia.
La colonna sonora, composta prevalentemente da chitarra acustica, fa da contorno sonoro continuo, accompagnando il film per tutta la sua durata.
La pellicola risulta molto complessa, non facilitando la comprensione da parte dello spettatore. Il colpo di scena finale però ravviva l’interesse del pubblico in sala.
Complessivamente Adam Pinney, al suo terzo lungometraggio, ha evidentemente lavorato molto sulla confezione del film, curando nei minimi particolari l’inquadratura, ma mettendo forse in secondo piano la sceneggiatura e l’interpretazione degli attori.