La mostra Soundframes, ospitata all’interno del Museo del Cinema fino al prossimo gennaio, propone un viaggio multimediale attraverso le molteplici contaminazioni tra musica e cinema. Non poteva mancare quindi un’area tematica dedicata ai grandi compositori di Hollywood. E così tre schermi ci mostrano, mediante alcune brevi sequenze di film, l’evoluzione del modo di ideare le colonne sonore nel corso della storia del cinema.
Innanzitutto, bisogna dire che se già era pratica comune, durante l’epoca del muto, vedere una pellicola con un accompagnamento musicale esterno, è solo con l’avvento del sonoro e del cinema narrativo classico che si impone l’uso delle colonne sonore originali, cioè create appositamente per un film (e parte integrante di esso). Nascono così i primi compositori cinematografici, molti dei quali sono musicisti europei diplomatisi nei migliori conservatori e fuggiti in America in seguito alle persecuzioni naziste. Uno degli esponenti più importanti di questo gruppo è senz’altro Max Steiner, che con il King Kong (1933) di Cooper e Schoedsack introduce un modo innovativo (per l’epoca) di comporre musica da film: la partitura deve aderire al “clima” della pellicola, accompagnare ogni momento della narrazione, suscitando sentimenti diversi a seconda della situazione (malinconia, paura, stupore…). Questo tipo di colonna sonora, che predilige i toni avvolgenti, i timbri accattivanti e le melodie sinuose, diviene la norma durante la cosiddetta Hollywood classica, periodo esplorato nella prima parte della sezione.
È proprio King Kong ad aprire tale proiezione, con la celeberrima scena in cui l’enorme gorilla scala l’Empire State Building. Il “tappeto musicale” composto da Steiner è efficace nel trasmettere l’imponenza e la bestialità del mostro, ma al contempo dona alla sequenza un’aria melodrammatica, come ad anticipare il tragico epilogo del film. Segue una sequenza tratta da Furia (Fury, 1936) di Fritz Lang, in cui una marcia di cittadini è accompagnata dalla sostenuta colonna sonora di Franz Waxman. Terza pellicola presa in considerazione è La fiamma del peccato (Double Indemnity, 1944), noir di Billy Wilder musicato da Miklós Rósza, che nella scena presentata contribuisce a creare un’atmosfera tesa e misteriosa, per poi enfatizzare il momento in cui la femme fatale del film nasconde una pistola sotto una poltrona. Al contrario Dimitri Tiomkin, ne La vita è meravigliosa (It’s a wonderful life, 1946), classico natalizio di Frank Capra, propone un accompagnamento musicale che, con la sua dolcezza, immerge lo spettatore in un ambiente intimo e romantico. A chiudere questo primo collage è una scena di Lawrence D’Arabia (Lawrence of Arabia, 1962) di David Lean, dove la vivace e arabeggiante colonna sonora di Maurice Jarre (premiata con l’Oscar) fa da sfondo ad un’appassionante cavalcata.
Sul secondo schermo viene invece affrontato il periodo dell’eclettismo. Se infatti lo stile classico di Steiner e degli altri si impone per vent’anni non solo ad Hollywood, già negli anni ’40 le nuove generazioni di compositori iniziano a rinnovare la scrittura musicale. Si scopre la forza delle dissonanze e della contaminazione e si cerca di inserire nelle partiture elementi attinti dal jazz e dal folk. Tra gli innovatori vi è Bernard Hermann, celebre per il suo sodalizio con Alfred Hitchcock. Tra i tanti film nati da questa collaborazione, sicuramente uno dei più significativi è Psyco (Psycho, 1960), di cui viene appunto mostrata una sequenza. E non una qualsiasi, ma la più famosa, quella della doccia: l’eclettismo di Hermann si nota qui nel curioso utilizzo dei soli archi, che con il loro suono stridente paiono fendere l’aria come il coltello utilizzato da Norman Bates per uccidere la povera Marion Crane.
In questi anni si affermano anche Elmer Bernstein e Leonard Rosenman. Il primo è omaggiato con una sequenza di L’uomo dal braccio d’oro (The Man with the Golden Arm, 1955), film di Otto Preminger in cui Frank Sinatra interpreta un batterista con problemi di droga: Bernstein compone una colonna sonora dalla forte impronta jazzistica, in cui gli strumenti (ottoni e pianoforte soprattutto) esplodono in un caos ordinato. Riguardo a Rosenman, la sua musica è al centro della scena successiva, la corsa automobilistica in Gioventù Bruciata (Rebel Without a Cause, 1955) di Nicholas Ray. Dagli Stati Uniti si passa infine alla Francia con Ascensore per il patibolo (Ascenseur pour l’échafaud, 1958) di Louis Malle, che vanta un soundtrack firmato niente meno che da Miles Davis, la cui tromba accompagna il peregrinare di Jeanne Moreau per le strade di una Parigi da film noir.
La scrittura musicale in ambito filmico subisce ulteriori cambiamenti con l’avvento della New Hollywood. La maggiore libertà espressiva conquistata dai registi tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70 va infatti di pari passo con una sempre più ampia sperimentazione in ambito musicale. È un periodo di rinnovamento, in cui nascono anche importanti sodalizi tra registi e compositori. A tutto questo, oltre che al cinema della modernità, è dedicata l’ultima parte della sezione.
Si inizia con Lo Squalo (Jaws, 1975), con quelle due note ripetute che hanno terrorizzato milioni di spettatori e mostrato al mondo il talento di John Williams. Compositore virtuoso ed eclettico, capace di rinnovare con la sua musica qualsiasi genere, da quel film in poi Williams formerà insieme al regista Steven Spielberg un “matrimonio” professionale che dura ancora adesso. A seguire, una scena di Momenti di gloria (Chariots of Fire, 1981) di Hugh Hudson, uno dei primi film a utilizzare musica elettronica come colonna sonora. A comporla il musicista greco Vangelis, prestato per l’occasione al cinema, che di lì a poco avrebbe bissato il successo ottenuto con essa realizzando la soundtrack di Blade Runner (1982). Si torna a parlare di sodalizi con la sequenza successiva, tratta da quel capolavoro che è C’era una volta in America (Once upon a time in America, 1984) di Sergio Leone, in cui si sente l’immortale “Deborah’s Theme” di Ennio Morricone, fedele collaboratore del regista. Si giunge poi a tempi più recenti con Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore (Moonrise Kingdom, 2012) di Wes Anderson, le cui musiche, tra tamburi e trombette, portano la firma del fresco vincitore dell’Oscar Alexandre Desplat. E su queste note la proiezione (e l’intera sezione) si conclude.