“FILM” di FABRIZIO BELLOMO

Basta un’ora per ridiscutere i complessi temi della tecnologia e del lavoro nel mondo contemporaneo? Certamente no, ma l’artista Fabrizio Bellomo riesce a usare un tempo così limitato per proporre una enorme quantità di suggestioni e domande, proprio come normalmente fa con le sue peculiari opere d’arte. Ci troviamo di fronte a un film sperimentale, in cui entrano nello schermo un numero esorbitante di immagini prese direttamente dalla vita vera, dagli scroll di Facebook alle presentazioni in Power Point fino alle registrazioni di consigli comunali e trasmissioni televisive. Ma Film propone un percorso chiaro attraverso le contraddizioni del progresso, lasciando a noi le domande: la tecnologia ci ha reso meno schiavi del lavoro? Ci permette di essere maggiormente padroni dei nostri strumenti? O continueremo per sempre a vivere sottomessi agli oggetti e al potere che questi hanno di darci sostentamento e dignità? Cosa vuol dire dignità per un uomo/lavoratore?

Bellomo propone questi spunti di riflessione portandoci con sé in un anno di interventi artistici, per i quali è partito dalle fabbriche abbandonate di Bari fino alla “Città-officina” Lumezzane nel bresciano, e spingendosi ancora oltre in Est Europa. Un viaggio spontaneo, che appare scomposto e caotico nella misura con cui le immagini si sovrappongono nel quadro, ma che è in grado di rivelare una nuova lotta di classe, combattuta dai lavoratori alla giornata, dai rider e dalle prostitute. Ci si mette in mezzo anche lui, Bellomo in prima persona, che parallelamente introduce il tema degli strumenti dell’arte. Così come adopera i cartelli “motivazionali” posizionati nelle fabbriche, ricollocandoli nei contesti urbani per evidenziarne la doppia natura di antichi e al tempo stesso rivelatori delle dinamiche dell’oggi (come ad esempio “Lavorate come se il principale vi fosse vicino”), allo stesso modo titolando questo lavoro “film” Bellomo richiama la forma originaria del suo strumento, la pellicola.

Un dialogo quindi tra una veridicità del passato, una realtà che conosciamo e possiamo gestire, e un presente segnato dalla smaterializzazione dell’oggetto, dello strumento di sostentamento dell’uomo, così come delle regole che lo sostenevano. Nel caos uomo e strumento si fondono, senza alcun beneficio reciproco. Ecco che l’immagine del leprotto bianco senza zampe posteriori, imbragato su un paio di piccole ruote, è il simbolo programmatico di Bellomo, è l’evidenza di come a un progresso tecnologico non coincida per forza un progresso sociale, anzi. Si perde una visione di insieme e ogni uomo si trova solo, a lottare la battaglia dei diritti in solitaria. 

Un film particolare e spiazzante, da vivere come una performance da compiere con il regista.

Arianna Vietina

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