L’esplorazione di mondi sconosciuti, il significato della frontiera e il mito dell’avventura hanno messo radice in Italia sin dai primi anni del dopoguerra. Nel 1948 nasce il fumetto Tex Willer e con esso nasce il fumetto western all’italiana, che da più di cinquant’anni viene letto dagli italiani. Nel corso degli anni il mito del lontano Ovest si afferma tra le impalcature della settima arte e l’Italia diventa la madre del genere spaghetti western, rendendo prestigio nel mondo alla produzione nostrana del settore cinematografico. Nel 1976 esce nelle sale Keoma, capolavoro del regista Enzo G. Castellari, che diventa un asse portante del genere western all’italiana. I paesaggi e i personaggi delle storie dei fumetti e del grande schermo diventano complementari, eroi e portatori di morte si alternano sui paesaggi desertici dell’immaginazione e disegnano a colpi di pallottola la conquista di una terra sconosciuta e selvaggia.
Nell’incontro a quattro voci coordinato dal critico Luca Boschi tenutosi presso il Circolo dei Lettori come appuntamento del Sottodiciotto Film Festival & Campus, Giovanni Ticci (disegnatore da cinquant’anni di Tex), Gianfranco Manfredi (disegnatore del protagonista di Magico Vento), Paolo Eleuteri Serpieri (disegnatore di Indiana Bianca) e Giorgio Pedrazzi (disegnatore del personaggio Mortimer) hanno dialogato riguardo al mito del West nei fumetti italiani intrecciando percorsi ed esperienze differenti.
“Un giorno o un’altro il pistolero potrà incontrare una pallottola più veloce della sua”, così Giorgio Pedrazzi descrive la plausibile morte di un eroe abitante nel Far West. Tex Willer non ha ancora incontrato quella pallottola e tra due anni, in onore dei suoi settant’anni, sarà pubblicato un volume totalmente dedicato alla storia del personaggio più conosciuto del fumetto italiano. “Quando ho iniziato a disegnare Tex i lettori erano scontenti” racconta Giovanni Ticci, il quale per accontentare pubblico e produttore dovette tener fede agli indumenti classici del personaggio e al suo fazzoletto legato al collo. Ciò che più colpisce nei disegni di Ticci sono i paesaggi, sempre impregnati di realismo. Sul tavolo da lavoro del fumettista, infatti, sostavano “pile di raccolte di ritagli di giornale o riviste americane, da cui poi traevo spunto per i paesaggi desertici e per i duelli”.
La fotografia è stata usata come “modello” delle loro vignette: “Con Alberto Giolitti ci travestivamo come personaggi del Far West e assumevamo le pose di una scazzottata o quelle di un duello”. Allo stesso tempo però i personaggi di queste storie non possono venire a stretto contatto con la realtà, ma devono assumere comportamenti non abituali. “La realtà non può stare nel western, perché è l’ultima storia epica della nostra era” dice Giovanni Ticci.
L’immaginario e la spiritualità indiana entrano in contatto con il lazo e la pistola: nascono così i fumetti Mortimer e Magico Vento. Il personaggio di Giorgio Pedrazzi (Mortimer) incarna l’antitesi dell’eroe Tex ed incarna un bounty killer spregiudicato. In Magico Vento il protagonista è disegnato da Gianfranco Manfredi e presenta i lineamenti dell’eroe cinematografico protagonista de L’ultimo dei Mohicani. Il cinema entra anche nell’ispirazione del fumetto Indiana Bianca, che è la versione fumettistica di Sentieri selvaggi diretto da John Ford.
È proprio parlando di cinema che si è concluso l’incontro Fra la via Emilia e il West. Con Steve Della Casa, direttore del Festival, e Luca Beatrice, direttore del Circolo dei Lettori, è stato presentato il libro Il bianco spara di Enzo G. Castellari, alla presenza dell’autore. Nel volume scritto dal regista di Keoma, che questa sera sarà proiettato al Cinema Romano, viene raccontata l’esperienza cinematografica di uno dei maestri del western all’italiana. Gli incontri con Quentin Tarantino, l’invito come ospite al Festival di Venezia, la realizzazione de La polizia incrimina, la legge assolve (“se fosse presentato oggi con questo titolo ne sarebbe vietata l’uscita nelle sale”, afferma Castellari) diventano i capitoli del “romanzo delle sua vita”, come sostiene Della Casa.
Enzo G. Castellari chiude il pomeriggio condividendo con i presenti il dono più grande che ha trovato nel suo mestiere: “La cosa più bella che il cinema mi ha regalato è stata la possibilità di girare il mondo. Ogni volta che cercavo le location per i film vivevo il Paese in cui ero non da turista, ma da scopritore”.