Scanditi dalle note di I Heard It Through the Grapevine (nella versione di Marvin Gaye), scorrono i titoli di testa, in sovrimpressione rispetto alle immagini dei protagonisti del film, ripresi nel privato delle loro reazioni alla notizia del suicidio di Alex, amico comune ed ex compagno di corsi alla University of Michigan. Questi primi e rapidi flash su ogni personaggio sono caratterizzanti: lo spettatore ha in pochi secondi la possibilità di conoscerli tutti.
Il punto di incontro è il funerale, organizzato dai coniugi Harold e Sarah (l’unica coppia rimasta in piedi dai tempi dell’Università, interpretati da Kevin Kline e Glenn Close), che ospitavano Alex e la sua fidanzata Chloe (una giovane ballerina frivola o semplicemente naif). Dopo la commovente cerimonia funebre, Karen (JoBeth Williams), moglie infelice, comincia a suonare all’organo ‘la canzone preferita di Alex’, il celeberrimo pezzo dei Rolling Stones You Can’t Always Get What You Want. Proprio il titolo di questa canzone epocale racchiude il senso del film: non a caso, gli unici momenti nei quali l’affetto fraterno tra tutti i componenti del gruppo è indiscutibile (chi è stato un militante politico di sinistra e ora ha fatto i soldi, chi è diventato un insoddisfatto attore di un telefilm, chi è un’avvocatessa metodica e sola dediderosa di farsi una famiglia, chi fa il giornalista ed è un po’ approssimativo ed erotomane…) sono quelli privi di dialogo, accompagnati dalla musica (e talvolta da gioiose mosse di ballo).
Ancora oggi, a distanza di trentuno anni, l’unico elemento che non risulta datato è proprio la colonna sonora, come dirà anche Harold implicitamente agli amici, mentre sta per far ascoltare loro un vecchio disco. The Temptations, i Creedence Clearwater Revival, Percy Sledge etc… Il gruppo di amici tenta di ricostruire le atmosfere giovanili (sono tutti trentacinquenni), di riportare in auge vecchie passioni (la politica, ad esempio, è una strada che non viene nemmeno tentata), vecchi amori, ma tutto questo è vano, impossibile.
Lo scontro arriva più volte nel weekend che gli amici trascorrono insieme a casa di Harold e Sarah dopo il funerale e inizia sempre da Alex, dagli sconosciuti motivi del suo suicidio, dai commenti al suo stile di vita. Tutti i personaggi si sono imborghesiti, si sono adeguati ad un tipo di società e di pensiero che da universitari combattevano e disprezzavano, sono scesi a compromessi con i loro ideali, con loro stessi, hanno accolto dentro di sé il male dell’ipocrisia. Negli scontri verbali (e non…), spesso scatenati da Nick (William Hurt), finalmente tutti riescono ad essere di nuovo ragazzi, sinceri gli uni con gli altri e, cosa più importante, con loro stessi: si scaricano addosso frustrazioni, rimpianti, desideri, confidenze.
L’armonia passata torna nel commovente finale/commiato, quando l’amicizia ha acquistato un nuovo significato, questa volta adulto, maturo, non rassegnato ma consapevole di quello che si è stati (e non si può più essere) e si è. Si comprende infine di dover smettere di fare confronti tra tempi troppo diversi tra loro: Harold, Sarah, Karen, Nick, Sam, Michael, Meg (e persino l”outsider’ Chloe) hanno compiuto la coro catarsi e da questo momento in poi saranno come purificati in quanto hanno abbandonato le velleità giovanili e accettato davvero, senza obblighi ed ipocrisie, quello che di buono il passato è riuscito a conservare: l’affetto, molto più prezioso dei ricordi effimeri di una generazione congelata.