Un diretto a Mike Tyson
Quando bisogna ritrarre una delle personalità più conosciute del XX secolo, Spike Lee non sbaglia mai. A maggior ragione se si tratta di un uomo cresciuto nella Grande Mela e di colore. Dopo Malcolm X del 1992 e il documentario del 2002 Jim Brown: All-American sulla vita dell’omonimo giocatore di football americano, Spike Lee realizza un docufilm su Mike Tyson. Mike Tyson: tutta la verità non è altro che la ripresa di uno spettacolo teatrale che il pluricampione dei pesi massimi di pugilato tenne all’Imperial Theatre di New York. Il film, realizzato per la rete televisiva americana HBO, è un monologo del pugile di circa 90’: “This is my story. My mistakes, my heartaches, my joy, my sorrow, my gift, my life, my undisputed thruth”.Nessuno si aspetterebbe di vedere che un uomo capace di staccare a morsi pezzi di orecchio e a cui è attribuito il record di knockout più veloce della storia del pugilato (8 secondi), salga su un palcoscenico, canticchi, abbozzi movimenti pelvici, imiti personaggi famosi e risulti addirittura simpatico. Il racconto parte dal 30 Giugno 1966, anno di nascita del pugile per ripercorrere l’adolescenza travagliata (a 12 anni Tyson rivela di essere stato arrestato circa 38 volte), i rapporti con una madre assolutamente indifferente al figlio perché occupata ad ubriacarsi, e i suoi successi iniziati con l’incontro con Cus D’Amato che sarà per lui un vero mentore.
A mettere all’angolo Mike Tyson è il matrimonio con Robin Givens. La Givens infatti mirava soltanto a rilanciare la sua carriera di attrice ormai sbiadita e, una volta raggiunto il suo obiettivo, tradì il marito con Brad Pitt. Dagli amori disperati si passa alle rivalità sul ring, come quella con Mitch Green che durò anni. Poi l’inferno. Mike Tyson stringe un patto con il diavolo: Don King. Da questo punto in poi, la sua vita è costellata di eventi tragici: la morte della sorella Denise, unico punto fermo nella sua vita, l’accusa di stupro ai danni della reginetta di bellezza Desiree Washington e la galera, l’abuso di cocaina e di alcool e la morte della figlia di soli 4 anni.Eppure Tyson non è finito, dopo un periodo in riabilitazione risorge e ha solo un obiettivo: quello di essere un buon esempio per i suoi figli.
Nonostante l’intromissione del pubblico americano, decisamente poco elegante con i suoi schiamazzi da stadio, il regista mostra Mike Tyson nel suo aspetto più privato, eliminando tutti i fronzoli mitizzanti. Tyson è un uomo normale che, come noi, si ritrova a confrontarsi con i suoi errori nel tentativo di essere migliore. Spike Lee lo sa bene: in fondo nessuno è speciale se non nella sua banalità.