Norvegia. Una piccola città su un fiordo è minacciata da una montagna che rischia di franare da un momento all’altro. Ciò causerebbe uno tsunami che distruggerebbe la ridente cittadina. Solo il geologo Kristian prende sul serio la minaccia. Proprio quando sta per cambiare vita e lavoro accade la catastrofe.
La Norvegia non è solo terra di paesaggi incontaminati e fiabeschi. Non è solo, musicalmente parlando, la terra natìa degli A-ha e della tenerissima Lene Marlin, ora è anche Paese produttore di kolossal cinematografici che nulla hanno da invidiare ai fratelloni a Stelle e Strisce. Bølgen (The Wave) è uno di questi casi. Il regista Roar Uthaug (una sorta di Michael Bay scandinavo) ha avuto a disposizione tecnici di livello e questo si vede soprattutto nella fotografia ricercata (campi lunghi, panoramiche e carrellate non si contano) e negli effetti speciali davvero ben fatti. La colonna sonora di Magnus Beite è in puro stile Hans Zimmer. La recitazione degli attori è manieristica ma in un film di genere è una scelta giusta.
Vera grande pecca, la sceneggiatura. Il paragone che viene spontaneo è soprattutto con i disaster movies americani degli anni ’90, Twister e Dante’s Peak in particolare. L’ambientazione montuosa, un protagonista che sa del pericolo incombente ma non viene ascoltato, anche la pettinatura di Kristoffer Joner ricorda quella di Pierce Brosnan nel film di Donaldson. Una delle pecche è indubbiamente questa: il film sa di anacronistico, la sceneggiatura segue tutti i cliché di quel tipo di cinema dal primo all’ultimo minuto e i dialoghi seguono la stessa rotta (e a volte si scade nel comico involontario per l’ingenuità incredibile delle battute e delle situazioni).
Interessante da studiare a livello produttivo (la Norvegia è un Paese di 4 milioni di abitanti e riesce a produrre film per palati d’Oltreoceano; quando l’Italia?) più che semiologico, c’è da dire che comunque si esce dalla sala con un sorriso sulle labbra e un sano senso di puerile gusto del trash, ma un trash ben fatto. Fosse stato realizzato nel 1995 sarebbe stato un successo planetario, ora forse assomiglia ad un bambino al tavolo dei grandi.
Un film da vedere per capire la direzione che sta prendendo, produttivamente, il kolossal europeo e, perché no, tornare per un’ora e mezza un po’ bambinoni. Lo definirei affettuosamente un’”Americanata Made in Norway”. Not only A-ha.