Quest’anno la parola scelta dai curatori del Tffdoc è “Amore”. E ieri sera al cinema Massimo sono stati proiettati i primi due documentari di questa sezione: We Make Couples e Les amours de la pieuvre. Questi sono stati preceduti dal documentario di Jean-Daniel Pollet La femme aux cent visages che ci mostra ottanta opere d’arte – tra dipinti e sculture – regalandoci un bellissimo omaggio alla femminilità.
Si parte dagli occhi, poi si vedono il corpo intero, il viso, le labbra, i capelli, il ventre e le pose, mentre Jean Thibadeau accompagnato dal tema musicale di Pierrot le fou ci parla della donna: così scorrono le immagini di opere di Picasso, Modigliani, Manet e molti altri. Femmina e donna preziosa, innamorata, differente, nuda, svestita, spirituale, calma dolorosa e infine idolo. Una donna il cui volto “ mostra il colore del cuore”.
We Make Couples di Mike Hoolbloom potrebbe essere definito un flusso di coscienza di parole e dissolvenze, forse più vicino al cinema sperimentale che alla non-fiction. Le voci di due donne si alternano dando il via a riflessioni che, partendo da principi anticapitalistici e marxisti, negano la democrazia in camera da letto, denotano il corpo umano con una particolare “factory” alle prese con le sue forme di resistenza, affermano il ruolo del cinema e del computer come direttori dello sguardo che rivolgiamo verso noi stessi e gli altri. Parlano di psicologia e cinema, accomunando le due discipline – nate nello stesso momento storico – in quanto entrambe si occupano di “proiezioni” e rintracciano nelle immagini l’unica forma di salvezza in questo mondo pervaso dalla solitudine. Infine la messa in crisi della coppia come istituzione porta a chiedersi se l’atto di amore possa essere considerato ancora un atto politico teso alla protezione dell’identità e della proprietà.
Infine l’ultimo dei documentari, proiettato in 35 mm, Les amours de la pieuvre, di Jean Painlevé e Geneviève Hamon, si connota come il più vicino alla comune concezione di documentario, quello informativo, educativo. La macchina da presa segue i movimenti lenti e sinuosi della piovra, concentrandosi sull’atto riproduttivo che viene illustrato minuziosamente e poeticamente, divenendo così atto d’amore.