Si è svolta, nelle sedi Rai, la conferenza stampa di Le fils de Joseph di Eugène Green, presentato nella sezione “Onde” al 34° Torino Film Festival. Il regista si è reso disponibile a rispondere per mezz’ora alle molte domande e curiosità da parte dei giornalisti, mostrando inoltre la conoscenza dell’italiano quasi impeccabile. La storia narrata vuole essere foriera del messaggio che la comunicazione tra generazioni (tra padri e figli per esempio) è molto importante; il problema maggiore della civiltà di oggi, come afferma Green, è che la gente non vive più nel presente, ovvero nella realtà, ma in una dimensione sempre più virtuale. Questo tema influenza diversi lavori del regista.
La storia narrata è contemporanea anche se parte da un riferimento biblico, quello del sacrificio di Isacco (che però nel film diventa sacrificio di Abramo): anche una persona che non conosce la Bibbia può comprenderla, perché le storie narrate nella Bibbia hanno un senso anche nella contemporaneità. Qualche curiosità è stata detta sulla recitazione degli attori: il regista allontana qualsiasi tipo di intellettualizzazione della recitazione, ma vuole che ci sia un “flusso di interiorità. Io chiedo sempre agli attori di parlare come se parlassero a sé stessi, è per questo che non ci sono effetti psicologici ma solo le parole che vengono fuori con l’interiorità dell’attore, che diviene poi l’interiorità del personaggio”, afferma Green.
La musica ha un ruolo fondamentale, è essa stessa quasi un personaggio, non è mai solamente un fondo sonoro che indica quello che lo spettatore dovrebbe sentire o vedere attraverso le immagini. C’è, in particolare, una sequenza in cui Vincent e Joseph vanno in una chiesa e assistono alle prove di un concerto in cui una donna canta un brano di Domenico Mazzocchi, compositore italiano del periodo barocco: il lamento della madre di Eurialo sopra il figlio morto. Il brano che è stato scelto dal regista per un motivo ben preciso: l’arte diviene, in questa parte del film, il legame tra Vincent e Joseph (in precedenza i due vanno anche al Louvre insieme), infatti ascoltando il canto Vincent prende coscienza del fatto che sua madre lo ama e che anche lui ama la madre: in quel momento sceglie di fare qualcosa per lei.
Come svela il regista, gli studi di storia dell’arte hanno in parte influenzato il suo stile di ripresa: spesso, infatti, le inquadrature del film sono come opere pittoriche. Green afferma che il quadro inteso come limite, confine della rappresentazione è molto importante perché stabilisce un rapporto tra “quello che si sceglie di mettere dentro e quello che si sceglie di mettere fuori. Molto spesso conta di più quello che non si vede rispetto a ciò che è visibile”.
La conferenza stampa si chiude con qualche anticipazione sui progetti del regista, che dichiara di avere da parte parecchie sceneggiature già scritte, ma l’anno prossimo conta di realizzare un cortometraggio in portoghese che si basa su un aneddoto legato alla vita di Fernando Pessoa e poi un lungometraggio su un mito basco.