Al confine tra il Montenegro e l’Albania si trovano il fiume Bojana e la riserva naturale che si sviluppa attorno alla sua foce. È qui che la sedicenne Mina, orfana di madre, è costretta a passare le vacanze con il padre Andrej. I giorni di Mina si susseguono tutti uguali, tra la spiaggia e i libri da studiare, fino a che incontra Saša, un kite-surfer più vecchio di lei fidanzato con Sonja, hippie e nudista.
Questa è la trama molto semplice di Vetar (Wind), terzo prodotto della giovane regista serba Tamara Drakulić che dopo due road movies (di cui Okean presentato al Torino Film Festival 2014 nella sezione Onde) approda a un lungometraggio ispirato dal racconto Kites di Ana Rodić. Il film che ne trae è un prodotto profondamente legato al territorio in cui la natura e il paesaggio creano una sorta di bolla spazio-temporale nella vita di Mina. Mina è un’adolescente che sogna una vacanza di lusso in Tunisia e alle feste indossa un finto diadema ed è evidente che il fatto di essere bloccata in una riserva naturale raggiungibile solo tramite barca non è l’ideale di vacanza che avrebbe potuto desiderare. È schietta, è annoiata, è silenziosa. L’armonia della natura contrasta con l’apparente disarmonia tra i protagonisti, che sembrano vittime dell’incomunicabilità . I loro silenzi si riflettono nei dialoghi scarni, ma si amplificano nell’eloquenza dei paesaggi. Vetar è infatti un film che fa dell’immagine e del paesaggio il proprio punto di forza. La storia d’amore platonico tra Mina e Saša e i rapporti della ragazza con gli altri personaggi non sono che sentimenti appena accennati e stilizzati, ma la bellezza delle immagini sopperisce a quella che ad alcuni potrebbe sembrare povertà di trama.
Il vero protagonista visivo e uditivo del film è il vento, che dà anche il titolo all’opera, e che trasporta lo spettatore tra colori tenui e immagini statiche. Drakulić indugia nelle riprese, costruisce inquadrature eleganti e realizza un film che “corre dietro al vento d’estate” con le sue immagini leggere e delicate. Vetar dilata i tempi, affascina con i suoi colori e culla con le sue geometrie e fa dell’intimità il vero soggetto della storia. Il linguaggio delle immagini va oltre quello delle parole e diventa il punto di forza di un racconto ti formazione apatico, atipico e terribilmente affascinante.