Un film essenziale e minimale che riesce a indagare nel profondo le paure dei personaggi. Paure che rispecchiano i timori del mondo moderno. Un viaggio fiabesco, in cui la contemporaneità si mischia a un tempo non ben definito da cui riemergono maghi, cavalieri e fantasmi. En attendant les barbares nasce da un laboratorio con un gruppo di attori tenuto dal regista a Tolosa; e questo spirito di genuina artigianalità, di sperimentazione, viene sottolineato dalle foto di backstage mostrate all’inizio del film. Una notte incantata, quanto concreta, in cui i protagonisti sviscerano e cercano di superare le proprie paure e in cui emergono i fantasmi che affliggono la società contemporanea. I media hanno appena annunciato l’arrivo dei barbari ed ecco che sei profughi bussano alle porte di un castello chiedendo protezione. Ad accoglierli un mago ed una maga, che li invitano ad abbandonare i propri apparecchi elettronici prima di entrare. Dinamiche sociali moderne vengono così fin da subito sradicate per lasciare spazio al passato, a un’ambientazione in cui sono protagonisti dialoghi e riflessioni. Discutendo di tematiche quanto mai attuali in un botta e risposta a due di impostazione teatrale, gli attori si riappropriano delle loro rispettive vite e del loro destino.
Teatralità marcata, tra poesia e mimica: nella seconda parte del film viene recitato un antico testo occitano, e alcuni personaggi sono spettatori e testimoni. Un viaggio onirico viene enfatizzato da una fotografia fredda che improvvisamente avvolge gli interpreti.
Ecco che, dopo quello che potrebbe sembrare una sorta di rito di iniziazione, si ritorna alla realtà, e tra passato e presente la narrazione si proietta infine verso il futuro dei personaggi. Green riesce a coinvolgere in maniera originale: lo spettatore, all’inizio viene spiazzato e disorientato, finisce poi per amare il contesto fiabesco e surreale. Un vero e proprio distacco dalla realtà che porta ciascuno a a riflettere sul senso e sul viaggio della vita.