Se chiedessimo a studiosi e appassionati di nominare il più iconico o il più famoso film della storia del cinema italiano, La dolce vita guadagnerebbe senza dubbio il posto d’onore.
Nel 1960 Federico Fellini realizzava la sua opera più celebre, destinata a diventare non solo uno dei film più importanti della storia del cinema, ma anche un’ispirazione, un riferimento, un modello, per il cinema e non solo, sia in Italia che all’estero.
Finalmente anche la collana Classics e Modern Classics del British Film Institute ha aggiunto ai suoi già svariati titoli quello dedicato a La dolce vita. L’autore è Richard Dyer, professore presso il King’s College di Londra, arrivato a Torino per presentare il suo ultimo lavoro nella gremita aula 18 di Palazzo Nuovo.
Celebre per suoi contributi sullo stardom e sulla queer theory, Dyer è anche studioso di cinema italiano. Nel 2004 ha curato una rassegna dedicata a Fellini al National Film Theatre di Londra e nel 2010 ha pubblicato un libro dedicato a Nino Rota, compositore per 164 film di cui ben 12 diretti da Fellini. Il legame con Fellini ha però un carattere più personale. Dyer ha infatti raccontato di quando a sedici anni vide per la prima volta La dolce vita al Curzon, uno dei cinema più lussuosi di Londra, e di come il film gli “abbia cambiato la vita”.
In un italiano impeccabile, Dyer ha raccontato di come La dolce vita attinga a piene mani da fatti realmente accaduti. Fellini dipinge la Roma dell’epoca a partire da eventi reali, ripresi da giornali e cinegiornali: dalla celebre sequenza d’apertura con l’elicottero che trasporta una statua di Gesù, al bagno di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi, dall’ambiente intellettuale e libertino allo spogliarello di Aiké Nana, gli eventi realmente accaduti in maniera più o meno simile anche nella realtà costituiscono l’intelaiatura del filmi.
Dyer ha continuato raccontando il suo rapporto con il film, non tanto presentando la monografia, quanto spiegando ciò che ha imparato e scoperto di nuovo nell’approcciarsi a La dolce vita non soltanto dal punto di vista di un appassionato, ma anche di uno studioso. Ha precisato però che il suo modo di guardarlo non è cambiato da quello del sedicenne alla scoperta del proprio orientamento sessuale, che leggeva del film su “Films and Filming“ e prendeva il treno per poterlo andare a vedere a Londra: “ho imparato cose nuove, ma lo guardo nello stesso modo.”
Dyer ha poi sottolineato l’aspetto queer di La dolce vita, molto più presente di quanto sembri a prima vista. Dalla controversa figura di Gio Staiano alla presenza di numerosi riferimenti a sfondo omosessuale, passando per le battute di apertura e di chiusura del film. Entrambe sono pronunciate da personaggi omosessuali, e Dyer si chiede se questo non possa significare che “il futuro è queer”.
In un’ora di conferenza, Richard Dyer è riuscito in modo limpido e appassionato a raccontare fatti noti e meno noti di un film che ha conquistato, ispirato e affascinato generazioni di cineasti, studiosi e amanti di cinema.