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BETWEEN PERFORMERS AND SCREEN: TFF’S MASTERCLASSES DEDICATED TO THE ACTOR

Article by Sara Longo

Translated by Stefania Frassetto

It may seem like cinema does not live off-screen. It appears like a chimera that exists only when you are looking at it; but that is not true: behind every film there is an organic and heterogeneous group of people working non-stop to bring back the magic, finally, to the theatres. Through the three Masterclasses dedicated to the figure of the actor in the setting of the Turin Film Festival, it was possible to create an interesting confluence of acting and the figures that gravitate around it, offering an in-depth analysis on the several field jobs that support the performers throughout their growth.

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TRA INTERPRETI E SCHERMO: LE MASTERCLASS DEL TFF DEDICATE ALL’ATTORE

Sembra che il cinema non viva fuori dallo schermo. Appare come una chimera che esiste solo nel momento in cui la si guarda; invece, dietro ogni film c’è un gruppo organico ed eterogeneo che lavora incessantemente per portare la magia, finalmente, di nuovo in sala. Attraverso tre Masterclass dedicate alla figura dell’attore nella cornice del Torino Film Festival, si è costruito un interessante punto di incontro tra la recitazione e le figure che vi gravitano intorno, regalando un approfondimento sui mestieri trasversali che accompagnano gli interpreti nei loro percorsi di crescita.

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SOUNDFRAMES: la magia dei musical

Musica e immagini: un connubio potentissimo. Forse il più potente di tutti.

La mostra Soundframes, visitabile al Museo del Cinema di Torino, fino al 7 gennaio 2019 celebra proprio le mille e una forma in cui la musica può fondersi con le immagini: dalle sonorizzazioni del cinema delle origini alle avanguardie, passando per il cinema d’autore e i grandi compositori.

Una sezione della mostra che proprio non poteva mancare è quindi quella dedicata al musical, genere per eccellenza in cui la musica si fa tessuto del film, creando intrecci e trame con la storia e con i personaggi che racconta e che fa vivere.

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RICHARD DYER PRESENTA LA MONOGRAFIA SU “LA DOLCE VITA”

Se chiedessimo a studiosi e appassionati di nominare il più iconico o il più famoso film della storia del cinema italiano, La dolce vita guadagnerebbe senza dubbio il posto d’onore.

Nel 1960 Federico Fellini realizzava la sua opera più celebre, destinata a diventare non solo uno dei film più importanti della storia del cinema, ma anche un’ispirazione, un riferimento, un modello, per il cinema e non solo, sia in Italia che all’estero.

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MASTERCLASS: SERIAL LOVERS

Quest’anno il Lovers Film Festival, in collaborazione con il DAMS Università degli Studi di Torino e con la curatela di Elisa Cuter, ha presentato una masterclass dal titolo Serial Lovers.

Durante l’incontro moderato da Matteo Pollone, si sono susseguiti gli interventi di Eugenia Fattori, Attilio Palmieri, Ilaria Feole e Violetta Bellocchio che hanno riflettuto su come nel passato la serialità abbia interpretato le questioni di genere e come le cose oggi siano cambiate.

Ad aprire la masterclass è stata Eugenia Fattori, scrittrice per “Seriangolo” e “Point Blank”, con un intervento dal titolo Reboot seriali nell’era Trump. Queer Eye e Will&Grace tra passato e presente.

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LOVERS WORDS SESSION

L’evento speciale Lovers Words Session a cura di Salone del Libro, Torino Jazz Festival e Lovers Film Festival ha dato luogo a un’intensa serata letteraria in cui sono stati presentati tre libri a tematica LGBTQI.

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Premio Maria Adriana Prolo 2015 a Lorenza Mazzetti

Quando la si vede dietro il grande tavolo rosso delle conferenze stampa, un po’ piccolina tra Stefano “Steve” Della Casa e David Grieco, non si può fare a meno di pensare a tutte le vite vissute da Lorenza Mazzetti. Se le porta dietro e addosso: un basco nero appoggiato sui capelli ribelli, il taglio degli occhi disegnato all’ingiù, la voce calma e quel suo modo magnetico di raccontarsi e farci stare incollati alle sedie senza perdere nemmeno una parola.
“Io le cose ve le dico, ma sarebbe meglio che leggeste Diario londinese, il mio ultimo libro”.
Ironica, scanzonata, anticonformista. Non è cambiata molto dal 1956, quando firmava il manifesto del Free Cinema insieme a Lindsay Anderson, Karel Reisz e Tony Richardson.

lorenza mazzetti free cinemaLa sua è una bella storia che inizia in un locale in centro a Londra, quando Lorenza era una cameriera dalla lingua svelta che voleva iscriversi alla Slade School of Fine Art senza un soldo, né i moduli necessari. La segretaria la cacciò, lei iniziò ad urlare e da una delle porte uscì “un uomo in bretelle, probabilmente un inserviente che chiese cosa stava succedendo. ‘Io voglio venire qui ad imparare, a dipingere, a lavorare!’ gli dissi. ‘Ma perché proprio qui?’ ‘Perché sono un genio!’ Non sapevo che altro dirgli.”
Il signore le dà dei moduli da compilare dei fogli e le dice di presentarsi la mattina seguente.
“Io ero anche un po’ perplessa e gli ho chiesto: “Ma cosa dirà il direttore?” “Niente, perché il direttore sono io!” Insomma, aveva le bretelle ed era in maniche di camicia e gli spiegai che in Italia il direttore di un’università non si sarebbe mai presentato senza la giacca. Non avrebbe nemmeno mai ammesso una ragazzina senza soldi che viene qui senza firmare nessun modulo e pretende di essere un genio! Ecco, capite? Non ho potuto fare a meno di innamorarmi di quest’uomo!”
Così, Lorenza inizia a frequentare l’università, si annoia un po’ a dipingere e preferisce gironzolare nei corridoi fino a quando si trova davanti alla porta del Film Club. La spinge, entra e vede “luccicare il tesoro… ve lo immaginate? C’erano le pizze, i treppiedi, la macchina da presa, tutto lì. Ho pensato ad un’unica cosa: mi porto via tutto.”  Con l’aiuto di un amico, “un giovane pittore bellissimo”, l’attrezzatura sparisce e Lorenza inizia ad immaginare il suo primo film. Pensa a Kafka, ha la sua foto appesa in camera: un viso fragile e terrorizzato che guarda il mondo. “Lo adoravo!”, racconta, “Così propongo al mio amico di fare l’attore, anche se lui non sapeva chi fosse Kafka. ‘Ma come?! La metamorfosi…’ ‘Mmh e come finisce?’ ‘Bene, lui è disteso a letto, ci mette molto ad alzarsi, ma poi si sposa e ha un sacco di figli!’ Gli risposi”.
Una volta girato il film, Lorenza porta tutto al laboratorio dove venivano sviluppate le pellicole dell’università, firmando con un nome falso e assicurando che la Slade School of Fine Art avrebbe pagato tutto.
“Ovviamente il direttore fu avvisato della cosa, gli dissero che era passata una strana ragazza con l’accento francese. ‘Ah, il genio’, rispose lui e mi mandò a chiamare. ‘Sai cosa hai combinato? Hai firmato il falso, usato dei soldi non tuoi: questo si chiama rubare e chi ruba va in prigione!’ ‘E allora mi ci mandi!’, dissi io andandomene, ma lui mi corse dietro: ‘Senti Lorenza, non voglio mandarti in prigione ancora. Prima facciamo vedere agli studenti quello che hai fatto, se applaudono paghiamo noi, se fischiano, tu vai in prigione.’ Ecco, a questo punto io stavo davvero male, ve lo immaginate? Avrebbero fischiato di sicuro. E invece applaudirono!”
Quel giorno non furono solo gli studenti ad applaudire, ma anche il direttore del British Film Museum, “un uomo bellissimo, tipo Kennedy, tanto che mi innamorai anche di lui! Mi chiese se volessi fare altri film senza rischiare di andare in galera e di portargli un’idea. L’indomani mi presentai da lui per il tè delle 17, tirai fuori l’idea dalla tasca, ma facendolo urtai il tavolino e buttai il tè bollente sul suo ginocchio… ‘Oh, cos’ho fatto?! I’m sorry, what can I do?’, gli dissi preoccupatissima. E lui: ‘Don’t worry, my leg is wood’, e ci bussò sopra per farmi sentire il rumore del legno. Poco dopo mi raccontò di aver lasciato la sua gamba a Cassino, per me e per tutti gli italiani. A quel punto l’ho abbracciato.”

Lorenza arrivò a Londra con un bagaglio personale pesantissimo: nel 1944 aveva assistito, insieme alla gemella Paola, all’esecuzione della zia e delle cugine sotto i suoi occhi, durante la Strage di Rignano. Anche Karl Reisz aveva vissuto in prima persona la tragedia della guerra: i suoi genitori furono entrambi deportati a Buchenwald. “Nessuno sapeva dell’altro, il nostro incontro fu un incontro basate sull’arte, sull’idea di cinema che avevamo. Non potevamo più sopportare l’idea che l’Inghilterra agisse come se non ci fosse stata alcuna guerra. Il popolo non aveva voce in capitolo e per questo abbiamo deciso di fare dei film che parlavano della gente comune, dei beatles, per farli finalmente uscire dalle cantine e farli arrivare agli occhi dell’upper class inglese”.

Lorenza Mazzetti a Londra

David Grieco ricorda che la vita di Lorenza è raccontata nel libro Il cielo cade, scritto quando, dopo l’esordio londinese con il cinema, Lorenza decide di tornare in Italia. La casa che divide con il nuovo compagno Bruno Grieco, padre di Davide, si apre ai registi e agli intellettuali dell’epoca. Qui “transitava tutto il cinema europeo in modo abbastanza casuale. Secondo uno strano e tacito accordo, tutti pensavano che Lorenza sarebbe tornata dietro la macchina da presa e venivano a passare le vacanze da noi. Lindsay Anderson diventò una specie di mio zio, Malcom McDowell diventò il fratello che non avevo essendo figlio unico, e con lui feci anche dei film.”
Quella casa era un luogo di libertà senza inviti né orari, un confessionale dove si incontrava gente e nascevano progetti. “La grande attrazione della casa era il tavolo da ping pong e la gente più improbabile si sfidava: Rod Steiger arrivava a mezzanotte con le palline e si cominciava. Un altro che frequentava spesso la casa era Gianmaria Volonté, all’epoca in una situazione difficile e con molti debiti. Un giorno ci dice: ‘Sto facendo un western con quel matto di Sergio Leone. Non me ne frega niente, ma mi servono i soldi e l’unica cosa di cui sono certo è che non lo vedranno mai…’ Il film era Per un pugno di dollari! Ecco, Lorenza mi ha regalato questa adolescenza qui, con tutti i danni che sono arrivati dopo.”

A Lorenza Mezzetti quest’anno il Torino Film Festival assegna il premio Maria Adriana Prolo, mentre Francesco Frisari e Steve Della Casa stanno realizzando il documentario Perché sono un genio. Sarà pronto la primavera prossima, racconterà la vita dell’artista e il modo in cui Lorenza è riuscita ad attraversare i momenti più importanti del Novecento con la sua personalissima dose di forza e fragilità. La rivista “Mondo Niovo” diretta da Caterina Taricano ha dedicato un intero numero alla Mazzetti, la quale ha dichiarato: “Mi sembra incredibile apparire sulla copertina di una rivista. Devo dire che però un po’ me lo aspettavo, essendo un genio.”

Mazzetti premiata al TFF33

Tavola rotonda “Cose che verranno”

Torino, 26 novembre 2015 – Si è tenuta oggi al Campus Luigi Einaudi una tavola rotonda intitolata “Cose che verranno” e dedicata al cinema di fantascienza. Relatori sono stati Emanuela Martini, Riccardo Fassone, Andrea Fornasiero, Emiliano Morreale, F

Gli onori di casa sono stati affidati alla direttrice del Torino Film Festival Emanuela Martini, la quale ha illustrato i diversi temi del dibattito e spiegato le motivazioni con cui sono stati scelti i film inseriti nella retrospettiva del cinema di fantascienza in corso al Festival, intitolata “Cose che verranno”.

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The Press conference: Suffragette Opens 33 TFF Press Conference

Article by: Danila Prestifilippo                                                                                     Translation by: Roberto Gelli
Not only was Suffragette shown yesterday evening to inaugurate 33th TFF, but also the film was the protagonist of the first press conference, which took place this morning. Film director Sarah Gavron, screenwriter Abi Morgan and one of its producers Faye Ward answered journalists’ questions and explained the film goals and the choices they made, in order to create the short film.

Muad (Carey Mulligan), a female worker, is the protagonist. She is a fictional character and fights together with other women, who represent really existed historical feminists like Emmeline Pankhurst (Merylin Streep). As director Gavron pointed out, the aim of this semihistorical approach was to make a connection between the women, who were given the mocking name Suffragettes and started their battle for their right to vote hundred years ago and modern women, who are still struggling with salary discrepancy, sexual violence and for their right to children protection and tutoring.

Suffragettes social movement has fought for fifty years but, if it is true that the first forty years had been a pacific struggle, in the following sixteen months the fight became more violent and cruel and almost none knows about it. The absence of films that tell us about the violence these courageous women had to endure, played a great role in persuading Faya Ward and Alison Owen to produce the film. Faya Ward stated: “We wanted the public to be aware of the importance of the sacrifices and the success related to Suffragettes fight. We also wanted to underline how their results are effective in nowadays society. We have tried to give modern spectators some contact points, in order for women not only to be politically active, but also to encourage them to be and become what they really feel they are or they could be. Our attempt was to give voice to those, who were not yet given their chance on the big screen.”

Abi Morgan, who had already been the screenwriter of movies such as The Iron Lady, emphasized that the challenge was to choose a really meaningful example of woman’s life and be able to put it in a precise historical context. She said: “On the one hand the character of Muad underlines the role of lots of passive supporters who became activists, on the other hand it investigates the reasons which persuaded women like her to put their jobs, their families and their homes at risk, in the name of a civil right”. The film focuses on the political matter and puts in the foreground these courageous protagonists, so the decision to not examine in depth personal stories was due to the fact that there are not enough literary or movie material at disposal, to which one can refer to. With reference to that, Morgan added that it was much more important to end the film with information about Saudi Arabia and its 2015 law concerning women right to vote only if accompanied by men, rather than to think at some sort of dramatization of Maud in the Hollywood style.

Sarah Gavron gave some further meaningful figures: “Still today, 66 million of women worldwide have no right to vote, 2/3 are illiterate and only 22% hold public offices. It says that the face of poverty is female and unfortunately these figures confirm it”.

The film’s aim is not only political and historical, it concerns the social matter too by denouncing and preventing the high young people abstaining rate, above all among women. Director Gavron told about the reaction of most of the female audience attending Suffragette’s introduction meetings. As she had hoped, after seeing the film, they expressed their wish to vote again because it made them aware of the sacrifices made by British feminist movement. She also reported that the troupe film (almost completely composed by women) wanted to give a clear signal during the film shooting, so they symbolically demonstrated against government by obtaining the permission to film in the House of Parliament in London, that same institutional place, which had declared against women right to vote.

Asked about a possible way to increase female presence in all sectors, starting from institutional offices, Abi Morgan answered: “We have to introduce the concept of positive discrimination and keep insisting about the importance women have within a context implying equality of the sexes. Geena Daves said “See in order to Be”: we need to have a radical attitude, to leverage the mass media but, in order to be successful, women complicity is essential”.

Faye Ward ended the press conference by making a consideration about the fact that Suffragette is a film of women who fight for their right to vote but “today the concept of fight may imply different ways. Each one of us can be what he wants to be, and this is true for both genders and all races. It is enough that we find our own voice and utter our words in every place, in political institutions or other kind of institutions.