Il racconto di una vita attraverso le parole e le note della musica. Questo è Blaze, film di Ethan Hawke presentato nella sezione Festa Mobile del 36º Torino Film Festival. È la storia del cantante country Blaze Foley, morto all’età di 40 anni per la sua troppa dissolutezza, o per il suo troppo coraggio.
La narrazione è un continuo andirivieni tra il passato ed il presente, si dipana infatti su 3 piani temporali differenti: la vita di Blaze prima del successo, insieme alla sua musa; il cantante dopo Sybil; gli amici che lo raccontano alla radio in seguito alla sua morte.
Lo spettatore deve ricostruire il racconto attraverso i diversi livelli narrativi e comprendere i mutamenti del personaggio tramite un montaggio che mescola elementi del passato e del presente.
Hawke ci trasporta all’interno di un destino segnato, anche chi non conosce la storia del cantante è chiamato a guardare lo scorrere degli eventi con la consapevolezza della sua tragica fine, le cui premesse vengono poste sin dall’inizio del film.
Blaze è fondamentalmente un buono che desidera diventare una leggenda e per farlo anziché elevare il suo animo, si lascia trasportare dagli eventi: così da una casetta sull’albero nei boschi in cui l’amore era la sola cosa che muovesse il suo spirito, decide di dare uno slancio alla sua vita, di esprimere la sua essenza anche fuori da quel paradiso che non rappresenta il mondo reale.
Ma qual è il vero pianeta di Blaze? Il suo animo tormentato è in bilico tra i due mondi che il montaggio ci lascia conoscere. Come in un ping pong infinito lo spettatore passa da un universo e l’altro, arrivando a comprendere che nemmeno il cantante stesso conosce davvero la sua strada.
La parabola dell’artista tra sensibilità e tormento viene sostenuta da un racconto fatto di canzoni, è infatti Blaze stesso a narrare parte della storia attraverso la sua musica. Ogni brano che ci canta evoca un momento, una suggestione, un sentimento.
In ciascuna sequenza è disseminato un frammento di umanità che si insinua sullo schermo anche attraverso l’interpretazione di Ben Dickey.
La natura dei boschi si pone contro le strade asfaltate che portano ai piccoli locali fatti di fumo e liquori; una fotografia dai toni caldi restituisce sensazioni in entrambi i piani.
Il selvaggio Blaze è un animo indomabile e profondo, che si lascia morire prima di aver trovato il suo posto nel mondo, o forse prima di aver compreso quale fosse la vera essenza del suo spirito tormentato.
Un po’ di terra, qualche fiore e delle lattine di birra: questo resterà di lui, oltre alla musica, che una volta scritta non potrà più tornare indietro