In Fabric si apre nel periodo dei saldi invernali, la festività per eccellenza di chi segue la religione del consumismo che, per chi ancora non lo sapesse, ha come luogo di culto il centro commerciale e venera tutto ciò che è in vendita. Il film presenta due diverse storie: quella di Sheila (Marianna Jean-Baptiste), afroamericana di mezza età in cerca dell’amore nelle sezioni dei giornali dedicate ai cuori solitari; e quella di Reg (Leo Bill), tecnico dall’aria nerd che si occupa di riparazioni di lavatrici. Il fil rouge che collega le due vicende è un vestito (rosso, non ho resistito al gioco di parole) maledetto, portatore di sventura e di morte nella vita di chiunque scelga di indossarlo.
Più il film andava avanti più mi rendevo conto che le mie aspettative di andare a vedere un horror venivano tradite: mi sono infatti ritrovato davanti a un prodotto ambiguo, a un amalgama di generi, di immagini e di situazioni talmente eterogenee e forti da rendere surreale – e a tratti estremamente comica – la pellicola. La scrittura del film e dei dialoghi sono labirintiche, spesso senza una vera uscita. Le commesse dei negozi si muovono in maniera ipnotizzante e sembrano leggere frasi fatte da un libro di rituali per ammaliare il consumatore. Il senso del film di Strickland potrebbe essere proprio una riflessione sugli effetti del consumismo nella società: il vestito rosso, infatti, rimane attaccato alla pelle delle persone che lo indossano e le perseguita come uno spettro, costringendole ad una vita di paura e di sottomissione rispetto alla materia, al prodotto. Non a caso, una volta uccise dal vestito, le persone finiscono in una sorta di inferno sotterraneo a cucire per l’eternità altri abiti rossi.
Personalmente ho visto un’intenzione in questo In Fabric, forse non portata a termine nel migliore dei modi (il film sembra perdersi col tempo), ma pur non appagando il mio desiderio di vedere un horror canonico mi ha lasciato con una buona sensazione uscendo dalla sala. Merita di essere visto, darà sicuramente modo di riflettere.