Bernardo Bertolucci, maestro del cinema conosciuto e amato in tutto il mondo, è scomparso il 26 novembre 2018 mentre era in corso il Torino Film Festival 36. La Direttrice Emanuela Martini ha subito voluto rendergli omaggio facendo preparare un breve video in suo onore da proiettare prima dei film in programmazione e dedicandogli una piccola retrospettiva nella giornata del 2 dicembre. Questa la sua dichiarazione: «Era un visionario, un intellettuale, soprattutto un sognatore. Bernardo Bertolucci ha fatto il cinema come non immaginavamo più di farlo: più grande della vita, e per questo capace di restituirci tutta la vita, e la Storia, e la memoria, e il futuro, nella loro profondità. Tragedie di ideali che si frantumano, di uomini e donne che si perdono in rapporti impossibili, affreschi magnifici del nostro passato recente e bruciante, di imperatori e Buddha e ragazzi e ragazze in cerca di identità. Ragazzi e ragazze che sognano, a Parigi come altrove, la loro vita, un’altra vita, migliore. Meno di venti film in quasi cinquant’anni di carriera sono troppo pochi per uno dei più grandi registi del mondo».
L’Università di Torino è legata a Bernardo Bertolucci in un modo particolare, in quanto nel 2002 gli ha conferito una Laurea Honoris Causa in Cinema (si tratta dell’unica iniziativa di questo tipo dell’Ateneo torinese). Nel Diploma di Laurea, redatto in lingua latina come vuole la tradizione, si legge che Bertolucci «In Arte Imaginum Se Moventium Exercenda Opera Praeclara Semperque Nova Confecit». Il grande regista si dimostrò molto imbarazzato e quasi insofferente di fronte ai formalismi del rituale accademico ma apprezzò profondamente – anche con una cera commozione – il calore con cui il corpo accademico e i numerosi studenti lo accolsero sia nell’Aula Magna del Rettorato dove ebbe luogo il Conferimento della Laurea H.C., sia in un’Aula del DAMS in cui si confrontò a lungo con i presenti sulle peculiarità linguistiche, poetiche e concettuali della sua opera.
La sua Lectio Magistralis fu preceduta dalla proiezione di un cortometraggio che egli aveva finito di montare a Parigi soltanto il giorno prima: Une histoire d’eau, il suo contributo al film collettivo (comprendente brevi film di dieci minuti l’uno sul tema del tempo realizzati da molti importanti registi: Claire Denis, Mike Figgis, Jean-Luc Godard, Jiří Menzel, Michael Radford, Volker Schlöndorff, István Szabó, Spike Lee, Wim Wenders, Werner Herzog, Jim Jarmusch, Aki Kaurismäki, Víctor Erice e Kaige Chen). Nel cortometraggio di Bertolucci vediamo un gruppo di immigrati clandestini pachistani che attraversano un tratto di campagna italiana; un vecchio si siede stanco sotto un grande albero e chiede ad un giovane discepolo di portargli dell’acqua. Il giovane si allontana, incontra una ragazza italiana, la sposa, ha dei figli, rimane vedovo e dopo molti anni sembra ricordarsi del vecchio. Lo ritrova seduto sotto l’albero, ancora in attesa dell’acqua, come se il tempo non fosse trascorso. Il tema del tempo, presente in modo evidente in molti film di Bertolucci, assume qui un valore culturale che caratterizza e identifica le diverse culture: la durata degli eventi ed il flusso temporale della vita non sono uguali in ogni parte del mondo, ma possono coesistere tra loro. Questo è il “sogno” di Bertolucci che nel 2002 auspicava l’integrazione tra la nostra cultura e quella di coloro che a quel tempo venivano chiamati “extracomunitari”.
Così diceva nella sua Lectio Magistralis: «Dagli anni Ottanta, per quindici anni e tre film, ho subito l’attrazione di culture diverse dalla nostra, innamorandomi ogni volta di un paese che scoprivo con la macchina da presa. C’è un’immagine che non ho mai filmato e che racchiude il senso di questi ultimi tempi. Nei dintorni di Beni Abbes, ai margini del Sahara algerino occidentale, ho visto una cappella costruita dai petit frères del père de Foucault. Piccolissima ma dotata di tre navate, era stata disegnata in modo di avere il sole al tramonto inquadrato dal portale d’ingresso. L’acquasantiera, invece dell’acqua santa, era piena di sabbia. Il senso era chiarissimo: il Cristianesimo era andato a cercare l’Islam, e l’Islam si offriva al Cristianesimo sotto forma di sabbia. Sull’innamoramento tra culture differenti ho girato i miei due ultimi film: L’assedio e Ten Minutes Older».
Questo “sogno” di integrazione culturale si scontra con l’”abiura” della Trilogia della vita espressa da Pasolini sulle pagine del “Corriere della Sera” nel 1975. Pasolini riteneva che ormai anche i popoli del Terzo Mondo, che per qualche tempo avevano incarnato – secondo lui – autentiche istanze di autenticità e innocenza, fossero ormai avviati verso l’imborghesimento, l’omologazione, la degradazione sociale e culturale. Ma Bernardo Bertolucci conclude la Lectio Magistralis proclamando la sua fiducia nel cambiamento, nell’energia che l’immigrazione degli “extracomunitari” porterà nel vecchio mondo del neocapitalismo occidentale: «Non Abiurare, Pier Paolo, non abiurare dalla Trilogia della vita, non abiurare dalla vita. Dopo pochi decenni l’innocenza che rimpiangevi nel sottoproletariato romano, ormai degradata e irriconoscibile, quei corpi un tempo così amati che ora ti facevano schifo, quella creaturalità che riempiva le tue pagine, i tuoi libri e le tue notti, quei corpi, quell’innocenza e quella creaturalità, sono riapparsi tra di noi. Li chiamano extracomunitari. La vita non è più in mucchio di insignificanti e ironiche rovine».