L’ultimo film di Louis-Julien Petit, distribuito in Italia da Teodora Film, è tratto dal documentario Femmes invisibles: Survivre dans la rue realizzato per la televisione francese da Claire Lejeunie dopo i cinque mesi trascorsi a stretto contatto con donne senzatetto, che in Francia rappresentano il 40% delle persone che si trovano a vivere per strada. Lejeunie ha anche scritto un libro in cui ha raccolto le sue impressioni ed i racconti delle donne con cui ha interagito. Sur la route des invisibles: Femmes dans la rue è il titolo del libro, da cui Petit ha tratto ispirazione per scrivere la sceneggiatura del suo film, collaborando proprio con Lejeunie e con Marion Dussot.
La commedia ruota attorno al centro diurno di accoglienza per donne senzatetto, l’Envol, a cui vengono concessi tre mesi prima della chiusura, decisa dal Comune per via della bassa percentuale di successo nel reinserimento nella società per le ospiti. Le assistenti sociali Audrey e Manu, aiutate dalla figlia adottiva di quest’ultima, Angelique, e dalla volontaria Hélène, si occupano di trovare nel tempo restante un lavoro per il maggior numero delle ospiti e, dopo uno sgombero del campo dove alcune dormivano la notte, ad offrire loro rifugio in un edificio occupato.
Petit ha scelto per il suo cast sia attrici conosciute, come Audrey Lamy e Corinne Masiero (rispettivamente interpreti di Audrey e Manu), sia donne che hanno alle loro spalle un’esperienza di vita simile a quella delle protagoniste del film. Il regista ha pensato di offrire loro la possibilità di usare degli alias, che sono diventati anche quelli delle donne rappresentate sul grande schermo: ci troviamo dunque a seguire Lady Di, Dalida, Salma Hayek, Edith Piaf e Françoise Hardy, tra le altre, alle prese con workshop, corsi, compilazione di curricula e fiere dell’impiego, sullo sfondo di una città in cui risultano essere da una parte invisibili e, dall’altra, ingombranti per una società in cui vengono considerate oscene per il pubblico decoro. Sta a Petit il compito di riportarle in scena, di lasciare che raccontino le loro storie di violenza e rifiuto, di mostrarle in tutta la loro dignità e capacità di ridere ancora. Il riso può tornare ad essere un modo di reagire allorché ci si trova in una comunità, spazio per cui le assistenti sociali sottopagate combattono fino alla fine, nel quotidiano di queste donne così diverse tra loro per provenienza, retroterra ed esperienze di vita.
Perché se è vero che il lavoro nobilita l’uomo – e in questo caso la donna – è ancor più vero che altrettanto fanno la cura, l’attenzione per l’altro da noi, la creazione di un luogo sicuro e sereno attraverso gesti semplici e conversazioni libere e schiette. Les invisibles riesce a mostrare con maestria le sfide affrontate da queste donne dimenticate, fornendo loro una cassa di risonanza eccezionale, dato il grande successo del film.
Da segnalare la prestazione magistrale di Adolpha Van Meerhaeghe, una delle attrici non professioniste che, nei panni di Chantal, ha saputo portare in scena la sua storia dolorosa con onestà ed arguzia: l’impegno di Adolpha e di tutti coloro che hanno contribuito a questo film fa sì che questo diventi un inno a una speranza non intangibile, bensì concreta, per un approccio diverso all’indigenza ed alla sofferenza.