Love, Simon, in proiezione straordinaria al Lovers, è il terzo film di Greg Berlanti (The Breakfast Club, Life as We Know It), che torna a dirigere un film LGBT, e lo fa raccontando a un pubblico giovane la storia di un teenager americano alle prese con il proprio segreto.
Ad accompagnare l’incipit del film è la voce over con cui il protagonista Simon confessa allo spettatore di essere gay e di non averlo mai rivelato a nessuno: il suo processo di coming out, tema principale dell’intreccio, sarà prima messo in moto dalla conversazione virtuale con un interlocutore ignoto e in seguito catalizzato dall’intervento di figure secondarie.
L’interpretazione del ventiquattrenne Nick Robinson è contenuta, mai sopra le righe e funzionale a rendere evidente la difficoltà del personaggio nel conciliare vita sociale e orientamento sessuale: Simon non è un emarginato, sa di poter contare sulla comprensione e l’affetto dei suoi giovani genitori, della sorellina e dei suoi fraterni amici, ma è restio a confessarsi con loro perché teme di essere sottratto alla “normalità” che mantiene la sua esistenza al sicuro e lontana da pregiudizi. Il film gioca con gli stereotipi delle scuole americane, mettendo in scena le dinamiche di una “tollerante e progressista” High School di Atlanta, dove tra laboratori teatrali e partite di football gli studenti, i cui miti vanno da John Snow di Game of Thrones a Cristiano Ronaldo, contano i giorni che li separano dal college – e quindi dalla maturità – e allo stesso tempo faticano a emanciparsi dall’ingenuità di fondo che caratterizza la loro quotidianità.
Berlanti, già produttore e sceneggiatore di serie TV come Dawson’s Creek, Everwood ed Eli Stone, si muove con disinvoltura alla regia di un coming of age con toni da commedia romantica in cui sono assenti il dramma interiore e la denuncia sociale; il film privilegia la lettura immediata e diretta della narrazione, mettendo in scena situazioni ai limiti del grottesco la cui efficacia è dovuta in parte alla scelta di giovani attori mainstream e in parte all’ironia dei dialoghi, divertenti e ammiccanti. Non mancano, specie in chiusura, momenti di maggiore intimità, in cui la sensibilità del regista e dei personaggi si fa più marcata senza tuttavia sfociare nel ridondante o nel melodrammatico.