“Io non sono un pentito, non sono un infame. Cosa nostra non esiste più”. Sono parole che Tommaso Buscetta rivolge a Giovanni Falcone, difendendosi dalle accuse che gli sono rivolte dai suoi (ex) affiliati e che campeggiano a caratteri cubitali sui muri delle strade di Palermo, all’inizio di una collaborazione che avrebbe portato a 366 arresti.
Marco Bellocchio non è nuovo a racconti di (oscure) pagine della nostra storia recente – basti pensare a Buongiorno, notte, Vincere o Bella Addormentata – e anche in questo caso si affida a un attore di primo livello. Ventidue anni fa Pierfrancesco Favino era al suo secondo film (Il principe di Homburg), oggi è uno dei più versatili e affermati interpreti del panorama nazionale e, raggiunta la piena maturità artistica, ritorna sul set di Bellocchio. Nel ruolo del boss dei due mondi, l’attore romano lavora intensamente su fisicità e vocalità, raggiungendo notevoli risultati: con un accento che sintetizza siciliano e portoghese, la sua voce mantiene toni bassi e le parole sono spesso borbottate, il suo corpo – sia esso esibito in nudità, sottoposto a torture o prestato alla prova di un abito su misura – è il centro dell’immaginario del film; la sensibile espressività del suo volto si appoggia all’ausilio dell’efficace trucco nell’accompagnare il processo d’invecchiamento di Don Masino. Se Il traditore può considerarsi un’opera riuscita è anche grazie alle ottime prestazioni degli interpreti secondari, specialmente nelle scene ambientate in tribunale durante i vari processi/confronti: si passa dalle perturbanti smorfie e fulminanti occhiate di un Luigi Lo Cascio che parla solo in dialetto (nei panni dell’inquietante Totuccio Contorno) alla recitazione minimalista di Fausto Russo Alessi che conferisce grande umanità a Giovanni Falcone, da Fabrizio Ferracane che rende più che credibile lo stato di agitazione di Pippo Calò nel confronto con Buscetta, attraverso mobilità dello sguardo e pronuncia di frasi balbettate, alla tanto breve quanto significativa apparizione di Bebo Storti, nell’interpretazione di Franco Coppi durante il processo Andreotti.
Il traditore è il ventiseiesimo lungometraggio di un regista politicamente impegnato, un film che, impostato come un biopic, spazia dalle atmosfere del gangster movie a quelle del cinema d’inchiesta ma rientra di diritto nella categoria di pellicola d’autore, oltre che del kolossal – quattro sono i paesi coinvolti nella produzione. L’autorialità di Bellocchio emerge dai toni cupi e contrastati della fotografia di Vladan Radovic, dai tratti pungenti di una sceneggiatura che annovera tra le proprie firme quelle di Francesco Piccolo, così come dal realismo della messa in scena e dalla potenza emotiva e visiva di alcune sequenze – si pensi a quella della morte di Falcone, in cui l’esplosione di gioia dei mafiosi segue quella del tritolo posto sull’autostrada A29 il 23 Maggio 1992. Il film è stato presentato ieri a Cannes, nel giorno del ventisettesimo anniversario della strage di Capaci, ricevendo ben tredici minuti di applausi: il giusto omaggio a uno dei più grandi autori italiani viventi.