Spencer Reinhard (Barry Keoghan) è uno studente di arte figlio di una famiglia borghese, ha talento ma la vita che si prospetta davanti a lui gli appare mediocre ed ordinaria; è alla ricerca di un’esperienza trascendentale che caratterizza i percorsi di molti artisti ed è disposto ad accoglierla anche se si trattasse di una tragedia. Anche Warren Lipka (Evan Peters) è uno studente benestante e annoiato che vuole emanciparsi da una vita di monotonia e mediocrità. La svolta nella loro vita arriverà con la scoperta che nell’università di Spencer sono conservati alcuni dei libri più pregiati d’America, volumi che valgono milioni di dollari, custoditi da un’anziana segretaria. Coinvolgono gli amici Chas ed Erik e organizzano il furto di queste opere preziose.
Bart Lyton realizza un heist movie coinvolgente ed appassionante, dimostrando una grande conoscenza del mezzo cinematografico: split screen, montaggi in parallelo e un’avvincente colonna sonora riescono a catturare lo spettatore in un meccanismo di continui rimandi tra la realtà e finzione. La vicenda si sviluppa infatti in parallelo alle testimonianze dei veri artefici della rapina ormai invecchiati di sedici anni, in una struttura che ricorda i true crime, programmi popolari nelle emittenti via cavo americane in cui vengono messe in scena ricostruzioni a basso costo di crimini realmente avvenuti. Il regista sembra nobilitare questo genere, rendendolo un mezzo per avviare una riflessione sulla natura della verità e della finzione. Quanto di ciò che vediamo (e viene raccontato) è vero e quanto è falso? Una domanda che tormenta anche gli autori della rapina, che ad anni di distanza dal fallito colpo arrivano a domandarsi se i racconti di Warren Lipka fossero veri o inventati; un tema con cui Lyton gioca fin dai primi secondi del film, che con l’avvertenza “This is not a true story” che poi si trasforma in “This is a true story” grazie al soffio di uno dei protagonisti. Una dichiarazione di intenti che sembra voler spingere verso una conclusione: la verità è ciò in cui decidiamo di credere.
Ma American Animals è anche un film su una generazione annoiata e priva di motivazioni, una generazione “in mezzo”, che vuole sfuggire alla mediocrità e alla monotonia che la vita sembra promettergli. La rapina non viene dettata da motivi di necessità economica quanto dall’idea di compiere una grande impresa, che possa di farli entrare nella storia riscattandoli finalmente dalla routine quotidiana.
Ottime le interpretazioni di Barry Keoghan ed Evan Peters, che riescono a restituire i dubbi e la doppiezza morale dei due veri protagonisti della vicenda, confermandosi come due dei giovani attori più promettenti di Hollywood.
Un film con diverse chiavi di lettura, metacinematografico e capace di avviare interessanti riflessioni sulla natura dell’uomo e sulla verità, senza rinunciare a un intrattenimento coinvolgente.