Tutti parlano dei benefici che le innovazioni tecnologiche portano alla società, molti ne discutono gli effetti alienanti, pochi si soffermano sui danni che provocano alla salute dell’uomo. È proprio quest’ultimo punto che si concentra Ubiquity, documentario che la regista olandese Bregtje van der Haak ha presentato alla ventiduesima edizione di Cinemambiente, pregando gli spettatori in sala di spegnere i telefoni cellulari prima dell’inizio della proiezione.
L’elettoipersensibilità (EIS) è una patologia non riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: le persone che se ne dichiarano affette sono particolarmente sensibili alle onde elettromagnetiche, sono impossibilitate a usufruire di tecnologie che sono alla base dell’era moderna, trovandosi così obbligate a fuggire e a difendersi da un pericolo costante.
Il film consiste nell’incontro con tre individui affetti da questa patologia, nell’osservazione della loro quotidianità: un signore olandese, una donna svedese di mezz’età e una giovane donna giapponese, differenti per età e background e ambiente in cui vivono, e in modo altrettanto diverso affrontano un forzato isolamento. La forza di volontà e il suo alternarsi al senso di scoraggiamento sono alla base della vita “parallela” dei protagonisti e, poiché la prossimità di una videocamera digitale avrebbe amplificato i loro sintomi, è con una cinepresa analogica che la regista studia e descrive una vita lontana da quella rete invisibile che, mentre crea collegamenti in tutto il mondo, costringe questi soggetti a vivere ai margini della società.
Dalle proteste che hanno luogo nella capitale americana, all’incontro/scontro di una vittima dell’EIS con le autorità che si voltano dall’altra parte per difendere i propri interessi, il film guarda alla tecnologia da una prospettiva insolita e psicologicamente inquietante, mettendo all’angolo lo spettatore e portandolo a leggere in maniera meno scontata e più critica le dichiarazioni pubbliche di Mark Zuckerberg che inneggia al progresso e alla connettività; allo stesso tempo Ubiquity assorbe e trasmette gli stati d’animo che derivano da questa situazione, ovvero la rabbia che conferisce forza ed energia alla donna svedese nelle battaglie che conduce all’insegna dei propri diritti, la determinazione della giovane giapponese nel diffondere informazioni circa i campi elettromagnetici e i danni che ne derivano, il velato sconforto dell’uomo olandese che vive come un eremita rimpiangendo gli anni in cui la tecnologia era il suo mestiere oltre che la sua passione, prima di trasformarsi in una trappola.
Le immagini conclusive del documentario, che ci mostrano i protagonisti mentre si auto-imprigionano nelle proprie case, rappresentano un avvertimento che, all’alba della tecnologia 5g, non può non essere percepito come una minaccia.