Le Furie che ispirano il titolo di questo film sono, nella mitologia, divinità che puniscono chi viola l’ordine morale e vendicano i delitti di sangue.
A partire da questo richiamo, Tony D’Aquino ha costruito un perverso gioco di oppressione e vendetta, che prende forma davanti agli occhi dello spettatore attraverso continui contrasti visivi e uditivi.
Pur ispirandosi alla mitologia e ai videogame (richiamo presente fin dai titoli di testa), il regista non approfondisce nessuna delle due tematiche, relegandole a mero escamotage per dare avvio alla trama.
All’interno del film tutto ruota attorno a Kayla (Airly Dodds), una giovane ragazza che vediamo all’inizio del film mentre fa da palo all’amica Maddie (Ebony Vagulans) intenta a scrivere su un muro “Fuck the patriarchy”. Le due ragazze hanno una breve lite perché Kayla non vuole imitare l’amica, che le sporca la maglia chiara di vernice rossa per sfogare la sua rabbia prima di andarsene. Non appena si separano le due amiche vengono rapite.
Successivamente, ritroviamo Kayla rinchiusa dentro una sorta di bara nera, aggredita dal rumore fortissimo e penetrante emesso da un dispositivo rosso. Uscita da lì, la protagonista scoprirà di essere stata lasciata insieme a Maddy in un bosco con altre cinque ragazze (le Belle) e di dover lottare per la sua sopravvivenza contro altrettanti uomini dalle sembianze mostruose (le Bestie), nella speranza di trovare la sua amica e una via di uscita.
All’interno di questo gioco perverso a ogni giocatore è stato inserito un dispositivo nel cranio per controllare cosa stia facendo e la vita di ogni Bestia è legata a quella di una Bella.
Quella maglia chiara macchiata di vernice rossa all’inizio del film riassume perfettamente la palette e i profondi contrasti usati dal regista. Lo sguardo dello spettatore non è mai aggredito da colori forti che non siano il rosso del sangue e del dispositivo usato per trattenere le ragazze all’interno dei confini del gioco. ll set in cui si trovano questi “gladiatori” è una foresta dai toni opachi, con alberi e uccelli bianchi, dall’aspetto sinistramente rilassante; un ambiente in estrema contraddizione sia con le scene di violenza, sia con la traccia sonora, costituita dal respiro forte e affannato dei personaggi, delle urla delle ragazze e dal verso stridulo degli uccelli.
Tutti questi elementi, insieme alla bravura degli attori e della regia, rendono questo slasher movie a basso budget una piacevole visione in cui le scene prettamente orrorifiche sono ben sostenute da tutti gli altri elementi che compongono il film.
Attraverso la moltiplicazione degli archetipi della final girl e dell’assassino, un set “povero” e qualche secchio di sangue al posto della CGI, D’Aquino è riuscito a creare un’opera degna di nota e che ha riscosso un buon successo tra il pubblico del festival presente in sala.