Dopo il premio come miglior documentario italiano assegnato a Diorama nella trentacinquesima edizione del Torino Film Festival, Demetrio Giacomelli torna in concorso a Torino con il suo nuovo film L’uomo raccoglitore.
Il film ha il pretesto di essere un documentario su Hermes Rendina, giovane ligure amico d’infanzia del regista. Hermes è un musicista che esorcizza i turbamenti e i pensieri attraverso le sue canzoni, nel tempo libero raccoglie e vende erbe spontanee adatte alla preparazione del prebbugiún, un piatto tradizionale della Liguria. Come per Diorama però, il vero soggetto del film è da ricercare altrove rispetto alla sinossi. L’uomo raccoglitore è un’opera sulla ricerca dell’uomo, intesa sia come ricerca personale di se stessi sia come ricerca delle radici profonde dell’essere umano, ma è anche un film su un’amicizia intima e profonda. Probabilmente la vera forza del film sta nel riuscire a inviare varie suggestioni, creando diversi piani di lettura che modificano l’esperienza di fruizione da spettatore a spettatore. Si possono riconoscere dei macrotemi, come la solitudine e appunto l’amicizia, che fungono da legante per le varie sequenze, tuttavia la pellicola potrebbe benissimo essere sezionata in più sequenze e ognuna di queste risulterebbe un autonomo video artistico monocanale. Questa abbondanza di temi è gestita con un brillante montaggio per astrazioni che in alcuni momenti sembra sfuggire al controllo del regista stesso, creando spunti di riflessione non previsti dall’idea iniziale di Giacomelli.
È interessante notare come alcuni di questi temi secondari si ricolleghino direttamente al film precedente del regista. Entrambe le opere condividono infatti un’interessante indagine sul rapporto tra natura ed urbanizzazione: dove in Diorama potevamo trovare tracce di convivenza tra animali e città, in questo film la si vede nel verde naturale che riesce a trovare spazio nella cementificazione genovese, a partire dalle piante autonome del prebbugiún, fino ad arrivare ad inglobare interi borghi abbandonati. Una proliferazione del verde che ci permette di riflettere nuovamente sull’umanità e sulla sua condizione transitoria: quando saremo spariti, questo mondo naturale continuerà autonomamente, riprendendosi ciò che noi gli abbiamo tolto.
Tana Gianluca