“Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di perfezionare ulteriormente la nostra unione, di garantire la giustizia, di assicurare la tranquillità interna, provvedere per la difesa comune, promuovere il benessere generale ed assicurare le benedizioni della libertà a noi stessi ed alla nostra posterità, ordiniamo e stabiliamo questa Costituzione per gli Stati Uniti d’America.” Un preambolo celebre, pensato per essere immortale anche se siamo subito avvertiti che in realtà, nel 2020, ancora molti cercano di comprenderlo.
C’è tuttavia una luce nel lavoro documentario My America di Barbara Cupisti, flebile ma viva.
Sarebbe quasi ovvio mostrare come la nazione che si definisce “la più grande democrazia al mondo” viene meno, quasi grossolanamente, ai principi di libertà e giustizia sui quali posa le sue fondamenta. D’altronde si tratta di contraddizioni che negli ultimi anni sono state ancora più accentuate dall’amministrazione politica e da un flusso di notizie e immagini tale da sembrare fuori controllo. Dalla costruzione del tristemente noto muro sul confine messicano alle manifestazioni che celebrano il secondo emendamento -mentre ogni giorno ci sono centinaia di morti per armi da fuoco-, tutto avviene alla luce del sole nel Paese dei contrari; là, dove anche i repubblicani si sentono rappresentati e trovano una loro interpretazione nei folk pacifisti di Woody Guthrie o Pete Seeger.
Una così bella costituzione tradita in maniera tanto evidente.
Lo sguardo di Barbara Cupisti si posa molto schiettamente su una di queste contraddizioni: su chi ancora vede la luce del sogno americano, pur riconoscendone i limiti, pur avendo – e vivendo-, tutte le prove per confutarlo.
Così la stessa regista durante la conferenza stampa: “Avevo bisogno di chiarezza e non di incrociare le storie come ho fatto in passato, da qui la divisione in tre capitoli”.
Vengono così raccontate tre vicende di profonda umanità: i giovani attivisti di March for Our Lives che, in nome di una sensibilizzazione sul tema delle armi da fuoco, hanno dato vita alla più grande protesta studentesca della storia della nazione; le cronache dal confine sud dell’Arizona, cimitero per tutti quei giovani sudamericani che, in cerca di un futuro lontano dalle guerriglie, sfidano il deserto con pericolosissime traversate; infine, le poche centinaia di metri quadrati del distretto di Skid Row, a Los Angeles, dove migliaia di homeless occupano le strade di una delle città più ricche del mondo.
Un lavoro tradizionale nella realizzazione la cui forza risiede nelle immagini intime delle vittime di quello che probabilmente è solamente un grande equivoco: il sogno americano che, nonostante tutto, continua ad essere inseguito con estrema fede. In tutti questi racconti, infatti, si trova soprattutto una speranza nell’esempio dei cittadini comuni che, con determinazione, cercano di sfidare e riparare la fibra morale del loro Paese.
Roberto Guida