Dopo l’acclamato, e crudo, esordio con American Factory (2019), la Higher Ground Productions di Barack e Michelle Obama torna a occuparsi di un tema vicino al mondo del lavoro. Attuali più che mai in questi anni, e in questi giorni, i tema dell’occupazione femminile e delle pari opportunità vengono analizzati e raccontati dal punto di vista delle attiviste del Movimento 9to5, baluardo delle lotte sindacali dagli anni ’70 a oggi sul territorio statunitense.
Dietro la macchina da presa tornano Julia Reichert e Steven Bognar, insigniti del Premio Oscar al miglior documentario per la già citata prima fatica della Higher Ground, i quali decidono di cambiare parzialmente registro per il lavoro proiettato a Job Film Days. Attingendo sempre da interviste dirette, i cineasti si affidano a una narrazione più canonica seguendo la linea temporale degli eventi e smorzando un po’ i toni del racconto, sfruttando l’evidente impatto carismatico delle protagoniste. Nel 1972, un gruppo di dieci segretarie di Harvard, ispirate dalle idee di Karen Nussbaum ed Ellen Cassedy, danno alle stampe una newsletter in cui rivendicano il ruolo delle donne nel mondo del lavoro e nella società americana. Da lì in avanti, arriveranno il primo sindacato femminile e un peso sempre più rilevante sulla scena politica nordamericana.
Sebbene il film soffra un po’ della retorica da “sogno americano”, il montaggio alternato tra found footage, primi piani delle protagoniste ed estratti da prodotti televisivi e cinematografici di culto statunitensi tiene il ritmo sempre alto e non si perde in facili sensazionalismi. Il tono ironico, in particolar modo, è focale nella discussione del tema sulla parità dei sessi: mettere alla berlina le battute sessiste, avallate anche da prodotti di massa come talk show o film e sitcom, aiuta a creare empatia immettendo lo spettatore in un contesto noto anche a un pubblico non originariamente americano.
La forza della narrazione si perde nei toni melò del finale di marca hollywoodiana, ma non cambia la carica emotiva degli eventi raccontati dalle donne che hanno prestato corpo, voce e idee al movimento femminista mondiale. Il film, tuttavia, è diviso in parti: se nella prima viene raccontata la nascita del sentimento di rivolta, nella seconda si intuisce la spinta che ha portato alle lotte sindacali in corso tutt’oggi, ma delle quali, nelle immagini, non si intuisce l’impeto, la forza, la rabbia.
Un quadro attuale su una società che fatica a staccarsi da vecchi e obsoleti modelli, sospinta da un movimento di emancipazione che ormai è internazionale e che ha raggiunto riconoscimento in politica e nei mass media (come testimoniano gli anni di impegno e attivismo di una grande diva come Jane Fonda). All’alba dell’”Abortion Law” in Texas, il messaggio di speranza promosso da Reichart e Bognar risulta un po’ smorzato negli effetti a lungo termine, lasciando di concreto soltanto l’impatto storico e militante dell’intero movimento.
Marco Ghironi