Il riconoscimento intitolato a Maria Adriana Prolo, fondatrice del Museo Nazionale del Cinema, quest’anno è stato assegnato a Giuseppe Piccioni. Un premio alla carriera, alla memoria dei suoi film, alle battaglie silenziose che questi hanno saputo raccontare.
Il rapporto viscerale che il regista ascolano riesce a instaurare con ognuno dei suoi lavori, come ammesso nell’intervista pubblicata sulle pagine di Mondo Niovo (rivista dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema, che ha dedicato il numero 106 a Giuseppe Piccioni), lo porta a consumare letteralmente ogni proprio film prima di riuscire a distaccarsene. Questo spiega, parzialmente, il notevole tempo di latenza tra un progetto e il successivo, e rivela anche l’attenzione nella costruzione dei mondi fittizi, ma molto reali, che il regista ha saputo fissare su pellicola. Uno di questi, il più famoso e ancora apprezzato, Fuori dal mondo, è stato ripresentato nella versione 35mm in occasione della premiazione, avvenuta al cinema Massimo. La storia della suora Caterina, del bimbo abbandonato di cui si prende cura e che per un momento le fa vivere una nuova epifania, salvo poi riportarla alla sua malinconica quotidianità.
In Fuori dal mondo Piccioni parla a una generazione che sembra aver perso il senso del tempo nell’inseguire vaghi sogni chimerici. Il suo cinema è stato definito dei «grandi sogni e dei piccoli cambiamenti», proprio perché in grado di comprendere la complessità degli esseri umani, non raccontando semplicemente delle storie ma i personaggi che le animano. L’attenzione rivolta agli attori è una vera e propria cifra stilistica del suo lavoro: lo studio del personaggio e la costruzione di una relazione con gli interpreti si uniscono alla ricerca di una recitazione empatica e mai forzata, che rinnega il melodramma nonostante la carica emotiva che sa trasmettere. Veicoli di queste emozioni sono spesso i personaggi femminili, donne riscoperte come muse e ispirazioni costanti su cui l’occhio della macchina da presa si posa con audacia e delicatezza poetica. Proprio una delle sue attrici, Margherita Buy, ha tenuto il discorso d’elogio prima della consegna del premio. Con lei, che è stata interprete di numerosi suoi film, il regista ha condiviso anche l’avventura di Fuori dal mondo, vincitore di cinque David di Donatello (di cui due a Piccioni per miglior film e sceneggiatura) e candidato a rappresentare l’Italia al cospetto dell’Academy statunitense nel 2000.
«Mi sembra quasi una sorpresa che mi facciano fare ancora film», continua a insistere Giuseppe Piccioni praticamente a ogni intervista rilasciata. Invece, il regista sessantottenne ha quasi pronto il suo nuovo lungometraggio, L’ombra del giorno, ed è ancora in prima linea a difendere a spada tratta le sue storie, i suoi personaggi, il suo cinema.
Marco Ghironi