La sezione Incubator del TFF39 presenta il primo lungometraggio del regista thailandese Taiki Sakpisit. Partendo da un neo sul collo, passando al corpo di una bimba in fin di vita, fino ad arrivare ad un candido vestito bianco, il regista realizza il gelido affresco di un’inquietudine profonda trasformandola in pura poesia.
Anima del film sono il bianco e nero e la fotografia glaciale che avvolgono lo spettatore sin dai primi secondi e rendono subito evidente come la preparazione del colpo di Stato che regge la struttura narrativa dell’intero film sia in realtà utilizzata, più ancora che come sottotesto politico, come pretesto per indagare le fragilità di Ploy che si danno come il vero fulcro emotivo dell’opera. Ploy è uno spirito irrequieto, sta rinchiusa in una casa desolata per poter condividere gli ultimi momenti insieme a suo marito Parl, politico condannato all’esilio a causa delle sue convinzioni. I due vivono un rapporto ruvido, puntualmente evocato dal fragoroso rumore dei rami spinti dal vento. Accanto a Ploy troviamo il cognato, un uomo in conflitto tanto con sé stesso quanto con la società, che lo costringe a rinunciare al fratello. L’acqua sporca che invade lo schermo e sembra inghiottire l’intero universo per poi essere risucchiata da un semplice lavandino diventa allora tempestiva raffigurazione proprio dell’opposizione tra società e famiglia intese come allegoria dell’antitesi tra pubblico e privato.
Luce e ombra sono basilari per l’esordio di Sakpisit e instaurano un sottilissimo gioco dialettico con le numerose finestre della casa che, in questo modo, diventano il mezzo migliore attraverso le quali poter osservare il mondo. Il mondo esterno non corrisponde, però, a quello che Ploy ha vissuto. La protagonista è costantemente inseguita dai fantasmi del passato, come il coma che ha vissuto dopo aver rischiato di affogare o la scomparsa del padre o, ancora, l’esaurimento nervoso della madre. Gli infiniti ricordi che riaffiorano nella sua mente e nel suo cuore sono inarrestabili e non può far altro che riviverli con angoscia sapendo che non se ne potrà mai liberare.
Davide Gravina