Il Torino Film Festival nell’ultimo biennio ha dato nuova linfa alla categoria dei cortometraggi, rientrati in competizione ufficiale dalla scorsa edizione e quest’anno protagonisti di una interessante novità. Ognuno dei dodici film selezionati da Daniele De Cicco, infatti, ha accompagnato uno dei lungometraggi in concorso durante le rispettive proiezioni nei giorni del festival. Un segnale di attenzione e rispetto verso una pratica sempre più viva in Italia e che ritrova la sua centralità nella rassegna torinese.
“LIBERTY” DI JOHANNA RÓŻNIAK
Un gruppo di ragazzi lotta per i propri ideali: un’azione inaccettabile per la società che domina il futuro distopico nel quale è ambientato il cortometraggio della regista polacca. Kuba, giovane membro del gruppo di opposizione, viene arrestato e si ritrova all’interno di una prigione ipertecnologica dalla quale non si può fuggire, se non tramite l’aiuto del padre, un importante politico. I sempre maggiori limiti imposti ai giovani, l’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine, la tecnologia in grado di violare qualsiasi concetto di privacy, la raccomandazione: tutti temi attuali, perfettamente analizzati all’interno di 14 minuti di spaventosa realtà.
“NIGHT” DI AHMAD SALEH
Notte stellata e mortifera, dea misericordiosa che maternamente addormenta i suoi figli esausti dalle bombe, dalla polvere e dall’inesorabile dolore. Una donna si ribella alla dolce ninna nanna, leva un grido disperato, un appello nella speranza di ritrovare la propria bambina, sepolta, senza vita, fra le macerie: cosa può fare, la Notte, se non donare pace anche alla sua anima? Il regista palestinese Ahmad Saleh racconta, in un cortometraggio straziante, l’infamia della guerra che costringe gli uomini ad accettare pacificamente la propria dipartita, unica soluzione per congedarsi dalla persistente minaccia degli spari e delle violenze.
“LA ÚLTIMA PIEZA DEL PUZZLE” DI RICARDO MUÑOZ
La libertà, continuamente evocata dal poster che recita “PUEBLO SATISFECHO, PUEBLO LIBRE” (“Popolo soddisfatto, Popolo libero”), e il suo divieto, a cui si può andare incontro anche solo per colpa di una banale reazione contro le autorità, sono alla base del corto firmato dal regista venezuelano. Narrando la semplice storia del cittadino Albertini, a cui manca sempre un solo pezzo per completare i suoi puzzle, Ricardo Muñoz lancia un grido di ribellione contro i principali regimi totalitari che hanno dominato, e continuano a dominare, numerosi paesi.
“MAVKA” DI ANASTASIA LEDKOVA
Il cortometraggio di Anastasia Ledkova è uno splendido sguardo onirico su una tragedia familiare. La morte di una donna potrebbe essere l’occasione giusta per il figlio e il marito di cominciare una nuova vita. I due hanno visioni diverse sull’idea di un trasferimento, ma tutto questo passa in secondo piano quando il figlio incontra una dolce e misteriosa ragazza, trovata stordita ai margini di un fiume. La sconosciuta conquista dei due grazie ai suoi modi innocenti ed eleganti, dietro ai quali si cela una tremenda verità che colpisce duramente i due protagonisti.
“BACKYARD CAMPING” DI MOR HANAY
Una tranquilla e piacevole serata sotto le stelle sembra essere il modo migliore per poter risolvere, seppur in maniera temporanea, i numerosi problemi familiari che la coppia protagonista sa di avere. Il cortile è la location, la tenda da campeggio diventa la loro fortezza ma la soluzione sperata non arriva a causa di un ladro surreale e di un imbattibile albero.
“RENDEZ-VOUS” DI ROSHANAK AJAMIAN
Baran e Navid sono una giovane coppia iraniana in crisi. Baran ha intenzione di troncare la relazione, poiché innamorata della sorella di suo marito. Lo shock è doloroso, considerando anche il fatto che i due si sono da poco traferiti in Canada e Navid non si sarebbe mai aspettato la fine della relazione. La regista decide di intervallare l’appuntamento tra i due con dolorosi frammenti in cui Baran piange disperata in auto conoscendo la sofferenza a cui andrà incontro.
“LA CATTIVA NOVELLA” DI FULVIO RISULEO
Il corto animato di Fulvio Risuleo offre un elaborato ragionamento sul rapporto con la morte, la religione e il futuro dei rapporti umani nel nuovo mondo che avanza. Il film è diviso in tre atti, ciascuno accompagnato da tre brani del cantautore Mirko Mancini (aka Mirkoeilcane, ndr). Sebbene sia fondamentale la voce del musicista per tenere le fila del discorso metaforico, il contenuto metafisico che accompagna la discesa di Gesù sulla Terra viene fagocitato dall’originalità della trama visiva adottata per la messa in scena. Efficaci i tre diversi viraggi cui sono stati sottoposti gli atti del corto: bianco e freddo il primo atto dell’Angelo Nero, buio e tenebroso il secondo della preparazione alla discesa, variopinto e caldo l’ultimo che racconta il funerale dell’anziano Giovanni.
“JUNKO” DI MINSHO LIMBU
La storia di Junko è la storia di tante spose novelle nepalesi costrette a vivere lontane dai mariti, partiti a cercare lavoro in India. Minsho Limbu decide di raccontarla con echi di beckettiana memoria, con la giovane donna in attesa del suo Godot che chissà se mai tornerà a casa. La regia è elegante e discreta, la macchina da presa indugia sul microcosmo di Junko accompagnandola nella presa di coscienza della sua futura solitudine, come fu per sua madre e per le donne delle generazioni precedenti. Limbu studia ogni inquadratura nel dettaglio, mantenendo sempre una scenografia essenziale e funzionale a ciò che racconta; in questo modo, la storia sembra quasi procedere da sola di fronte all’obiettivo. Il film è un esempio di ottimo storytelling, non lascia punti interrogativi e racconta senza facili pietismi uno spaccato culturale del Nepal.
“NEON MEETS ARGON” DI JAMES DOHERTY
Tutto il problema della vita è questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri. Cesare Pavese, Mestiere di vivere
Immersi in un tripudio di colori, un Efesto dall’accento irlandese accetta un giovane apprendista nella sua singolare fabbrica di insegne luminose. Alienato dalla comunità e poco avvezzo alla socialità a causa della solitudine prolungata, la luce al neon del vecchio artigiano si riaccende con l’arrivo di una figura amica che irrompe nella sua piatta quotidianità. Le due anime perse faticano a comunicare, ma le barriere vengono abbattute dal bisogno di ritrovare se stessi attraverso l’altro.
“BABATOURA” DI GUILLAUME COLLIN
Sfruttando una regia frenetica che insegue i dialoghi dei personaggi conferendo un ritmo serrato di botta e risposta, il cortometraggio di Guillaume Collin racconta i fragili equilibri di una famiglia canadese ritrovatasi in occasione di una cena. Segreti e paure attanagliano il cuore di Benoit, preoccupato che la sua famiglia non accetti il figlio illegittimo che la sua compagna porta in grembo. La mise-en-scène aiuta a comprendere i caratteri di ognuno dei commensali seduti attorno al tavolo e a registrare le loro reazioni di fronte a una notizia che scardina i principi di una famiglia tradizionale, misurando così il loro grado d’amore reciproco.
“LA NOTTE BRUCIA” DI ANGELICA GALLO
Cavalcando l’onda (ormai diventata fin troppo lunga) delle storie di criminalità nella periferia romana, tema e filo conduttore che hanno ormai reso saturo il cinema italiano degli ultimi anni, la regista Angelica Gallo denuncia un ambiente in cui gli adolescenti non trovano altro modo di emergere, individualmente e socialmente, se non votandosi alla malavita. Le presenze di Marcello Fonte e Aniello Arena condiscono un cortometraggio di genere in cui gli adolescenti vivono la strada come cani randagi, lavorando in branco per sopravvivere, ma pronti a tradirsi gli uni gli altri in nome del dio denaro che non conosce morale.
“AIN’T NO MERCY FOR RABBITS” DI ALIZA BRUGGER
La regista Aliza Brugger presenta in concorso un western tutto al femminile, che rovescia la tradizione del genere e rivaluta il ruolo della donna che da creatura indifesa diventa capace di provvedere a se stessa in un ambiente arido e insidioso come quello del deserto. La piccola Ronan, infatti, vive con la nonna malata in un ambiente ostile, lontana da qualsiasi forma di civiltà e da risorse naturali. A circondarle è un orizzonte pietroso da cui, tuttavia, non compare alcun cowboy che, al galoppo, giunge per potarle in salvo. “You gonna be the wolf or the rabbit?”: questa è la domanda che ricorre nella testa della giovane protagonista che, ispirata dagli insegnamenti della nonna, lotta contro la paura di non riuscire a sopravvivere. Sapendo di poter contare solo sulle proprie forze, la piccola Ronan impara a montare a cavallo, simbolo di indipendenza e libertà.
Davide Gravina, Michelangelo Morello e Marco Ghironi