Uno dei concetti che più hanno fatto discutere negli ultimi anni in campo filosofico è quello di iperoggetto. Formulato dal filosofo Timothy Morton, un iperoggetto è qualcosa “la cui caratteristica principale è quella di esistere su dimensioni spazio-temporali troppo grandi perché possa essere visto o percepito in maniera diretta”[1]. Come umani, non possiamo percepire direttamente gli iperoggetti, ovvero ne siamo immersi a tal punto da non poterli esperire direttamente, se non tramite i loro effetti. Iperoggetto per eccellenza, secondo Morton, è quindi il cambiamento climatico, fenomeno di portata talmente ampia da sfuggirci se non nei suoi effetti locali. Detto questo, come il cinema si pone nei confronti degli iperoggetti?
Adam McKay ha fondato nel 2019 la sua casa di produzione Hyperobject Industries che vede tra i suoi collaboratori lo stesso Morton e Don’t Look Up, film d’esordio della compagnia, è proprio un tentativo di portare la teoria di Morton all’interno del discorso cinematografico. Rendere il cambiamento climatico un oggetto visibile, nel caso di McKay un meteorite, significa cercare di tirarsi fuori dalla viscosità degli iperoggetti per studiarli e analizzarli.
Questa premessa è necessaria per analizzare l’approccio di Jordan Peele in Nope. Come rendere visibile e analizzabile quello che possiamo definire un “iperoggetto culturale”, ovvero lo sfruttamento della comunità nera, e in questo caso particolare lo sfruttamento perpetrato dall’industria cinematografica fin dagli inizi della sua storia? Se in Don’t Look Up abbiamo una cometa come metafora del riscaldamento globale, l’approccio in Nope è simile: la creatura aliena non identificata diventa l’oggetto su cui Peele focalizza la riflessione sulla relazione tra sguardo/cinema e sfruttamento. Se nei suoi precedenti film, e in particolar modo in Get Out, questa riflessione era già presente, in Nope la riflessione si fa a tutti gli effetti meta-cinematografica.
Rendere oggetto visibile un fenomeno che è rimasto nascosto per decine di anni è il primo passo per un processo di riappropriazione. Fondamentale risulta quindi la scena della morte del padre dei due protagonisti: concreta vittima dell’oggetto/metafora, la modalità della sua morte (notare che è una moneta da un quarto di dollaro a uccidere l’uomo) è il primo germe per l’analisi delle dinamiche di sguardo presente in Nope. Come in Un Chien Andalou di Luis Buñuel, la ferita all’occhio che porta alla morte del padre rivoluziona le dinamiche di osservazione esistenti fino a quel momento aprendo a qualcosa di totalmente nuovo.
Da qui inizia infatti il percorso di riappropriazione dello sguardo che OJ ed Em Haywoods, addestratori di cavalli per il cinema (interpretati da Daniel Kaluuya e Keke Palmer), devono intraprendere per sopravvivere e sconfiggere la creatura e i significati metaforicamente associati a essa. Nell’arco del film, sono innumerevoli gli strumenti di visione che i due protagonisti utilizzano nel tentativo di cogliere la creatura. Ciò però non è sufficiente per completare il percorso: le ipertecnologiche videocamere notano il comportamento strano di una nuvola, ma non funzionano durante gli attacchi; la camera analogica funziona in quei frangenti, ma si trova in mano al regista, figura interna all’industria e che quindi ricade nelle stesse dinamiche voyeuristiche e di sfruttamento. Per completare il percorso bisogna quindi tornare agli inizi.
Il cinema fin dagli albori è stato infatti strumento al servizio delle relazioni di potere esistenti: il processo di riappropriazione deve culminare quindi per Peele nel ritorno ai primi studi sul movimento. Se questa rivendicazione era presente in apertura del film, con gli Haywoods che si presentano come gli eredi del fantino non identificato ritratto nelle cronofotografie di Muybridge, essa si concretizza definitivamente con la fotografia della sconfitta della creatura/occhio/macchina da presa realizzata da Em attraverso la fotocamera all’interno del pozzo, utilizzando lo strumento che in una delle scene precedenti aveva visto figurare la stessa Em come aliena in una foto che una famiglia stava realizzando. Diventare soggetto e non oggetto di sguardo è l’unico modo per scardinare le relazioni di potere preesistenti.
Per concludere, il grande pregio di Nope non è solo quindi la meticolosa analisi delle dinamiche di osservazione e la molteplicità degli approcci di lettura possibili – non si è parlato ad esempio del richiamo al genere western nel percorso di riappropriazione o nella figura del proprietario del parco a tema Jupiter’s Claim – ma la capacità di innestare queste riflessioni in un film che è un chiaro prodotto dell’industria cinematografica – in grado di intrattenere grazie a una sceneggiatura finemente elaborata e alla bellezza delle sue immagini – e un tentativo di cambiarla (forse) dall’interno.
Cristian Cerutti
[1] https://www.iltascabile.com/recensioni/iperoggetti-timothy-morton/