“A WOUNDED FAWN” DI TREVIS STEVENS

Dopo una lunga carriera da produttore (Jodorowsky’s Dune, A Horrible Way To Die e tanti altri), con A Wounded Fawn, presentato nella sezione competitiva della ventiduesima edizione del TOHORROR Fantastic Film Fest, Travis Stevens firma la sua terza regia. L’arduo tentativo di amalgamare suggestioni disparate, se non addirittura contraddittorie, si concretizza in un’opera prodigiosamente equilibrata e omogenea, già vista, eppure originale. Un esemplare film di genere.

«To Art and Beauty». L’ammaliante assassino Bruce Ernst (Josh Ruben), abituato a cercare nel mondo dell’arte e del collezionismo le sue prede, trova nella curatrice Meredith Tanning (Sarah Lind) la prossima vittima, terza acquisizione per la sua ultima collezione. Nell’elegante casa isolata, dopo aver dimostrato un notevole gusto per l’arte e la cucina, l’anfitrione trasforma brutalmente le malcapitate in oggetti da poter gelosamente custodire, a detta sua, non per sé ma per il “gufo rosso”, entità assetata di bellezza che controlla il suo corpo.

Il film procede implicando delle variazioni agli elementi di genere e creando contrasti che sfumano e mescolano riferimenti e paradigmi: il serial killer è tanto affascinante quanto crudele; l’ambientazione richiama la classica cabin in the woods ma venata negli interni di un’atmosfera sofisticata ed elegante; la pellicola 16mm conferisce un aspetto vintage e raffinato, ma l’andamento è scandito da momenti di facile spavento ed effetti speciali analogici dichiaratamente rudimentali; l’impianto teatrale in due atti si sposa con una messa in scena prettamente cinematografica che sublima la violenza della vendetta delle tre sorelle (che chiamano in causa direttamente un riferimento mitologico alle Erinni) trasportando lo spettatore nel regno dei sogni e degli incubi in cui troverà la sua catarsi.

Ne viene fuori un curioso pastiche che, tra revenge movie e giallo all’italiana, dà forma a una storia che nello scorrere del film si fa sempre più intima e claustrofobica. Fino al finale con il processo che Bruce crede di meritare e che, esattamente come il mostro di Düsseldorf nel capolavoro di Lang, si rivela essere una farsa, una valvola di sfogo, una sessione di terapia di gruppo, non solo per le tre vendicatrici ma anche per gli spettatori in sala, più che contenti di poter partecipare, dando il loro assenso, alle sevizie.

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