Nella seconda giornata della ventiduesima edizione del TOHORROR Fantastic Film Fest, la sezione Freakshow, dedicata ad opere ad alto gradiente di eccentricità e splatter, viene inaugurata da Tiny Cinema.
Il lungometraggio a episodi di Tyler Cornack non risponde alle aspettative di un pubblico alla spasmodica ricerca di sorprese e stranezze di ogni tipo a causa di una consistenza narrativa traballante.
«I IS SHE?». Eccedendo ed enfatizzando la sua adesione ai generi cinematografici, il regista americano gioca in ogni capitolo con il ribaltamento dei ruoli mettendo in discussione tutto ciò che il pubblico ha introiettato circa le dinamiche proprie ai vari generi. Viene goliardicamente messo in dubbio tutto ciò che conosciamo sulle rom-com, sugli action ad alto tasso di testosterone (vedasi la saga di Fast & Furious o film come Point Break), sui gangster movie (con esplicito riferimento a Quei bravi ragazzi) e, in alcuni casi, su specifici film (Lars e una ragazza tutta sua viene ad esempio riletto in chiave femminile).
Il film costruisce dunque una sorta di carrellata di freaks contemporanei: uomini, donne, corpi senza vita, viaggiatori nel tempo e individui dai particolari appetiti sessuali, che si mescolano in un calderone gender fluid che vorrebbe provare a stabilire nuovi ruoli, opposti a quelli marchiati nell’immaginario collettivo dai generi cinematografici e assegnati aprioristicamente dalla società. La cultura, con il suo insieme di regole sociali, e la natura, con le sue leggi fisiche e scientifiche, vengono quindi superati dalla volontà di non uniformarsi dei vari protagonisti. «Non è colpa tua. È il tuo corpo».
Cornack riprende e rielabora sei delle ottantaquattro storie già mostrate nella web series che porta lo stesso titolo del film. Il processo di abbellimento e dilatazione narrativa corrisponde però alla perdita parziale della vitale comicità e della spigolosa inquietudine che caratterizzavano i mini-corti, così “sporchi” e immediati da collimare perfettamente con i temi trattati.
Paradossalmente, è proprio la cornice ispirata ad Ai confini della realtà a risultare l’elemento più fuori luogo dell’intero film, o meglio, il simbolo di un’operazione non perfettamente riuscita: tanto familiare quanto convenzionale, la presenza del sadico nano cantastorie controbuisce infatti a banalizzare e disinnescare la forza potenzialmente dirompente di alcune idee che si affievolisce di episodio in episodio.