“Someone will remember us, I say, even in another time”. È su questo riconoscibilissimo frammento di Saffo che si apre Lesvia, il primo lungometraggio documentario della regista greca Tzeli Hadjidimitriou. Un verso che racchiude perfettamente l’intero film, che si impernia sulla profondità e sulla pregnanza del ricordo come testimonianza.
Lesvia segue cronologicamente l’evoluzione di Ereso, paesino rurale dell’isola di Lesbo, che diede i natali a Saffo e al suo mito. Proprio per questo da metà degli anni ‘70 perse il suo anonimato e diventò meta di un turismo sociale e politico, quello della comunità lesbica internazionale in ricerca di un proprio spazio fisico da occupare.
Nonostante i decenni presentano cambiamenti fondamentali nell’approccio della comunità verso il paese, il filo conduttore resta il rapporto tra le donne lesbiche e gli abitanti di Ereso, intriso per la maggior parte di conflittualità e recriminazioni degli spazi.
Oltre alla storia di Ereso, Lesvia è articolato su due ulteriori livelli all’interno dei quali la regista si muove agilmente: la sua vita personale e quella più ampia del movimento lesbico in termini politico-sociali.
Il corpo delle donne – e in particolare il corpo lesbico (M. Wittig) – è protagonista dell’opera. Si delinea un mondo che sembra essere “al rovescio”, in cui i rapporti tra donne beneficiano della non-realtà data dall’ambiente circostante e, privi di interdizioni o pericoli, si manifestano nella forma più pura e radicale di libertà e spontaneità alla luce del sole. Come una ventata d’aria fresca, il film documentario illumina su una realtà pressoché inesplorata: non solo quella delle lesbiche di Ereso, ma delle lesbiche in generale, le quali peccando della duplice colpa di essere donne e non eterosessuali vengono dunque doppiamente ignorate ed emarginate dalla quotidianità così come dalla Storia.
Attraverso materiali d’archivio quali fotografie, video e audio interviste, viene restituita l’unicità dell’esperienza delle donne che, in diversi momenti, hanno fatto parte della storia lesbica del piccolo paese. Il lirismo delle riprese dal vero degli immensi paesaggi aumenta, se possibile, ancor di più l’autenticità del film e cementifica quello che è un racconto tanto intimo e personalissimo, quanto universale nel porsi come un richiamo per la generazione contemporanea di donne lesbiche.
Hadjidimitriou è ben attenta a definire passato e presente con scelte stilistiche e formali, ma, nonostante questo, il racconto è instillato di rimandi all’uno e all’altro piano risultando in un particolare senso di spaesamento malinconico, anche e soprattutto nei momenti più vitali della pellicola. Dalle parole della stessa regista, il lavoro corale di dodici anni culminante in Lesvia non è che la punta dell’iceberg per quanto riguarda la storia del turismo lesbico di Ereso: una storia estremamente documentata che non è ancora e mai potrà essere raccontata in modo esaustivo perché racchiude passato, presente e futuro. Una storia che non finirà mai.
Giorgia Bergamasco