“PARKLAND OF DECAY AND FANTASY” DI CHENLIANG ZHU

In un saggio sul legame tra reenactment e fantasmatico, Bill Nichols riflette su come tale tecnica sottolinei lo scarto tra presente e passato, ma anche tra percezione soggettiva e oggettiva degli eventi. In questo modo, il reenactment crea una dimensione fantasmatica che annulla l’idea di oggettività totale e ne evidenzia la sua impossibilità. In Parkland of Decay and Fantasy, presentato all’interno del concorso Documentari Internazionali del TFF40, è l’immagine digitale a svolgere la funzione descritta da Nichols: le nuove tecnologie e in particolar modo la loro possibilità di intervento sull’immagine – come nel caso del finale visionario – rendono possibile l’evocazione visiva dei fantasmi al centro della narrazione di Parkland of Desire and Fantasy[1].

Sono le due sequenza prima della comparsa del titolo a dettare i temi del documentario: un uomo, avvolto dal buio, racconta la storia della morte di una pittrice che viveva all’interno di una comune di artisti che si era stanziata all’interno del parco divertimenti decaduto protagonista del film. Anni dopo, una coppia va alla ricerca di questo parco per realizzare una diretta streaming e mostrare l’atmosfera spettrale che lo permea. Le immagini però non mostrano le due persone, sono immagini mediate digitalmente: a venire visualizzato è lo schermo del telefono di uno dei due. Seguiamo quindi il loro percorso, prima tramite le immagini digitali di un gps e in seguito tramite la camera del ragazzo che realizza il video. La sua fidanzata però scompare nel parco. Si tratta di un evento reale, di un reenactment o di qualcosa di inventato? La risposta è di difficile risposta.

Con queste due sequenze si entra ufficialmente nel parco divertimenti decaduto: un luogo paranormale, secondo il regista, in grado di agire come antenna e captare l’anima uscita dal corpo, quasi come un messaggio telefonico, di ogni persona morente. Sempre se questa idea fosse vera.

È questa riflessione sulla soggettività della realtà – a discapito della canonica presunzione dell’oggettività del documentario – a essere il nodo cruciale del film: Chenliang Zhu realizza un’opera su uno spazio dove si materializza una realtà soggettiva, ovvero questo parco divertimenti da cui sono passate mille vite e che fantasmaticamente continuano a presentarsi al suo interno. Grazie all’utilizzo del digitale e alle sue possibilità di modificazione della realtà, il regista riesce a mettere in crisi l’idea di oggettività classica. Nonostante tale idea sia già stata messa in discussione da molta teoria del documentario, Chenliang Zhu con questo film decide di prendere una posizione drastica e andare ancora più a fondo nella questione realizzando un documentario in cui piano mentale e realtà fenomenica si trovano in interscambio continuo.

Cristian Cerutti


[1] Cfr. Nichols, Bill. “Documentary Reenactment and the Fantasmatic Subject.” Critical Inquiry

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