Meglio macellai che vitelli
Mange tes morts è il peggior insulto che si possa dire ad uno zingaro ed è anche il titolo del nuovo lavoro di Jean-Charles Hue, regista che aveva già partecipato al Torino Film Festival nel 2009 con Carne viva, un ritratto di Tijuana. Il nuovo lungometraggio di Hue è un bildungsfilm che nel finale diventa un road movie dai tratti esistenzialisti. Il film, nella parte iniziale molto documentaristico, è ambientato nella comunità nomade dei Jenisch. La trama è semplice, anche fin troppo, e consiste in un viaggio tra i “gadjo” (i non gitani), per rubare un carico di rame.Mange tes morts affronta un dilemma diffuso tra i Jenisch: battezzarsi e così seguire la retta via sottomettendosi alla morale cristiana, oppure intraprendere la strada per diventare un ladro professionista. Jason Dorkel, il protagonista – un Amleto del Duemila con le Nike – decide di seguire la prima alternativa. Ma Fred, fratellastro di Jason, mina la tranquillità della comunità. Dopo quindici anni passati in galera, infatti, egli ritorna tra i Jenisch e non pare affatto che sia cambiato, è il solito delinquente. Aveva proprio ragione Zvyagintsev: il ritorno è il più efferato massacro della coscienza. Fred è il male che sodomizza i più deboli e riesce a condurre alla perdizione anche il piccolo Jason.
Da questo momento in poi, il film prende una piega diversa e risulta meno compatto rispetto alla parte iniziale. Ci sono addirittura sequenze a dir poco surreali, come quella in cui Fred sfida con coraggio i poliziotti che sembrano degli psicologi annoiati pronti ad ascoltare candidamente le noie dei loro pazienti.
Gli attori spesso fingono una solennità che non appartiene loro e la diffusa improvvisazione a volte spiazza. Mange tes morts è un film piacevole ma lacunoso, interessante anche se molto lontano da poter essere considerato un capolavoro.