Santiago Mitre, dopo il successo di El estudiante, vincitore del Gran Premio della giuria al Festival di Locarno 2012, arriva sulla scena torinese con quest’opera seconda, La Patota –Paulina, film in concorso nella corrente edizione del Festival. Al regista è bastata una sola visione del film Patota (1961) di Daniel Tinayre per rimanere colpito dal personaggio di Paulina e accettare di dirigerne il remake.
Paulina è un avvocata di successo di Buenos Aires la quale decide di partire alla volta di un quartiere marginalizzato per insegnare Scienze politiche a un gruppo di ragazzi disagiati. Durante la sua permanenza rimane vittima di uno stupro da parte di una gang formata da alcuni suoi studenti e, andando contro alle aspettative di tutti, pur sapendo chi sono i colpevoli decide di non denunciarli.
Spinta dalle sue convinzioni politiche, infatti, la protagonista non richiede l’intervento della legge: è consapevole della condizione sociale dei ragazzi, del degrado in cui sono cresciuti e come esso abbia influito irrimediabilmente su di loro. Vorrebbe aiutarli mostrando loro un mondo diverso da quello che hanno conosciuto.
Seppur vittima si comporta da eroina, destando non poco stupore nello spettatore portato ad immedesimarsi con la figura del padre, che vorrebbe la giusta punizione per il male che hanno inflitto a sua figlia. Paulina capisce la reazione paterna e lei stessa si sarebbe comportata in quel modo al suo posto. Ma lei è la diretta interessata, e solo chi è stato colpito da una violenza del genere può capire come ci si sente.
E’ sconcertante la sicurezza con cui Paulina persegue il suo obiettivo, ma non siamo chiamati a capirla. Il film stesso non dà spiegazioni o giustificazioni in merito. Il regista afferma: “E’ difficile capire la decisione di Paulina così come la violenza da cui è scaturita, ma il nostro è un mondo che non sempre riesce a fornire risposte e la violenza esiste con o senza causa ovvia”. La Patota – Paulina, invero, pone una sfida: quella di accettare opinioni diverse dalle nostre senza interrogarci troppo sul perché esistano opinioni diverse dalle nostre.