Nella contemporaneità la comunicazione tra individui si riduce, nella maggior parte dei casi, ad un’interazione attraverso i mezzi digitali. Mezzi che veicolano informazioni in maniera compulsiva, mostrando allo spettatore situazioni e fatti di ogni genere. Il sensazionalismo ha assunto ormai sfumature più vaghe ed eterogenee: la notizia non è più rappresentata da un fatto di fondamentale importanza che tocca la società, e situazioni legate al quotidiano possono rivestire un ruolo sociale di primaria importanza.
Con No panic baby il collettivo belga Leo Gabin, attraverso il montaggio di video provenienti dal web, ha realizzato una sorta di esperimento sociale. Sequenza dopo sequenza il film unisce momenti e circostanze completamente differenti, dando vita a un collage che apre una finestra sulla nuova umanità. Tra un video e l’altro ci viene mostrata una storia tra due giovani, che viaggiano su un’automobile.
Particolarmente interessante è il montaggio di suoni e voci che accompagnano la galleria di tipi umani che popola il film: si alternano la musica, le voci originali dei video inseriti, il silenzio assoluto e soprattutto le voci off. Una in particolare, maschile e calda, dai toni inquietanti, persuade il suo interlocutore, chiedendogli di abbandonarsi alla libertà, di mettere l’ansia da parte e di non entrare nel panico. Il discorso si ripete più volte, generando l’effetto opposto, le parole assumono un significato antitetico, specialmente perché accompagnate da immagini che sembrano non avere alcuna connessione tra loro.
Un aereo vola nel cielo, una casa brucia, una ragazza mostra il suo corpo, un’altra racconta cosa preferisce indossare. Queste le storie del web che singolarmente possono assumere livelli di rilevanza completamente differenti, ma assemblate diventano un concentrato di vita.
Il film ci mostra in maniera fredda e diretta quanto può divenire fondamentale, nella società di oggi, riprendere qualsiasi cosa, tramutare ogni situazione in un evento.
La scelta delle sequenze montate invita lo spettatore, in modo indiretto, a chiedersi quale sia la verità. Le persone, davanti all’occhio di una fotocamera di un cellulare, hanno la pretesa di mostrare la realtà quotidiana delle loro esistenze, ma si percepisce che le azioni sono mosse unicamente dal desiderio di mostrarsi, di mettere le proprie vite su un piedistallo.
I giovani protagonisti di No panic baby sono annoiati da una vita probabilmente vacua e riempiono il vuoto esistenziale che li circonda giocando con una pistola e fotografandosi. L’arma perde il suo significato di pericolo, per trasformarsi in un accessorio alla moda da mostrare.
Il collettivo Leo Gabin guarda e si interroga sulla contemporaneità: non ha importanza il formato o la qualità del video, questo compendio di notizie, persone, voci e ritratti ci restituisce un mondo che guardiamo da fuori, ma che in realtà ci rappresenta e ci appartiene.
No panic baby comincia con un primo piano di una ragazza che toglie dal viso una maschera, lentamente. Questa immagine è il cuore dell’intero film: il mondo è totalmente spettacolarizzato, e nessuno è se stesso davvero. La maschera della giovane donna è quella di ciascuno di noi: nascondiamo l’anima per mostrare il viso, siamo attratti da un fittizio che cattura la nostra attenzione, producendo emozioni imprevedibili. La verità lascia il posto all’ostentazione.