Safinat al-Sahra, la nave del deserto. È questo il nome del vecchio camper a bordo del quale Aldo ed Elia hanno deciso di partire. Destinazione: la medina di Fes, in Marocco.
Fin dalle prime sequenze Talien si presenta come un insolito road movie, che utilizza le forme del reportage di viaggio per costruire un’opera in costante equilibrio fra documentario e biografia a soggetto. Al centro c’è la storia di Aldo, ovvero Abdelouahab, che vive e lavora in Italia da più di trent’anni. Prima vendeva tappeti, poi ricambi meccanici, infine è riuscito ad avviare una fabbrica di calzature nell’operosa pianura padana. Qui è cresciuto Elia, suo figlio, italiano di seconda generazione dal perfetto accento bresciano, che adesso lo accompagna nel lungo viaggio di ritorno verso casa.
Nello spazio ristretto dell’abitacolo, mentre fuori scorrono i paesaggi, i due parlano, discutono, si confidano. Ciò che ne esce è un bellissimo affresco di un paese in crisi, sospeso fra i dolci ricordi del passato e le ansie e le preoccupazioni di un futuro incerto. “Se tu fossi un trentenne di oggi, cosa faresti?” chiede inquieto il giovane Elia, seduto al tavolo di un’area di servizio. La risposta di Aldo è perentoria: “Emigrerei”. Due generazioni diverse alle prese con gli stessi problemi, in un’Italia rovesciata, non più terra di lavoro ma di emigrazione.
Quello di Elia Moutamid è un film intelligente, complesso, multiforme, in cui le vicende personali si intrecciano sapientemente con la storia sociale degli ultimi decenni. La regia è efficace, ed è questo il pregio migliore di Talien. È incisiva, fresca, diretta, riesce a comunicare col pubblico spogliandosi di ogni filtro.
Fondamentale in questo senso è stata la scelta di riservare un ruolo di primo piano alla parola parlata. È proprio attraverso la dimensione fabulatoria, quella sottile ed ancestrale arte del saper raccontare, che il film intercetta l’attenzione della platea. Le interiezioni, i gesti, le ripetizioni, gli intercalari catturano gli spettatori e li inducono ad ascoltare, ad immedesimarsi, a riflettere.
Infine Talien è anche un film consapevole, stilisticamente maturo, che vanta soluzioni tecniche peculiari. Una fra tutte, l’adozione pressoché continua della camera a mano, diretta eredità dei reportage del cinema verité. Nelle inquadrature vibranti di Moutamid la storia di Aldo ed Elia si fa densa, palpitante di vita, si carica di significati reali e fuoriesce dalla finzione dello schermo. Il risultato è un’opera intensa, di valore, dalla grande portata simbolica, espressiva ed emozionale.