Il maestro del cinema erotico Tinto Brass, memore de Il portiere di notte di Liliana Cavani e del viscontiano La caduta degli dei, di cui, tra l’altro, condivide anche due attori quali Helmut Berger e Ingrid Thulin, affiancati dalla bella e affascinante Teresa Ann Savoy, dirige nel 1976 un nazisploitation provocatorio, nel quale sesso e potere si fondono e si confondono. Salon Kitty segna anche una svolta nella filmografia del regista: se prima le sue pellicole erano più impegnate e politiche, a partire da questo lungometraggio il regista prende la strada dell’erotico.
Il bordello di Kitty, nella Berlino nazista, è il luogo di ritrovo e di sfogo di generali, ufficiali e gerarchi del regime hitleriano. Il giovane tenente Wallenberg, bramoso di potere, decide di trasformare il “Salon Kitty” in un centro di spionaggio in cui, con l’aiuto delle prostitute di fede nazionalsocialista, raccoglie le confidenze, soprattutto politiche, dei clienti, per usarle eventualmente contro di loro nella sua personale e ambiziosa scalata sociale. Alla fine, in un delirio di onnipotenza, rimarrà egli stesso vittima dei suoi metodi.
Il film, frequentemente inframmezzato da numeri musicali, inizia con una performance canora di Ingrid Thulin dalla doppia faccia, una metà femminile e l’altra maschile. Da questo momento i corpi saranno una presenza costante e vengono mostrati in tutte le possibili declinazioni, dai corpi perfetti e giovanili di Berger e di Teresa Ann Savoy, a quelli difformi, mutilati, o ancora brutali. Inizia così a defilarsi un catalogo delle differenti perversioni, tra il feticismo per la divisa, voyeurismo e sadomasochismo, delle quali il nazismo sembra esserne la forma più malata e degenerata. In questo contesto, il sesso, fonte di piacere e gioia, ma anche di dannazione e di morte, si rivela come l’unica arma per togliere potere all’uomo, e più in generale al nazismo.