Negli ultimi anni la Scandinavia e in particolare la Danimarca ci hanno abituati a un cinema di altissima qualità e a dimostrarlo è anche il fatto che film come Il Sospetto di Thomas Vinterberg e Land of Mine di Martin Zandvliet siano entrati nella cinquina dei candidati agli Oscar come Miglior Film Straniero. Citare questi film non è un caso perché The Guilty (in originale Den Skyldige), opera prima del giovane danese Gustav Möller, oltre a essere in concorso a Torino36 è anche la proposta della Danimarca per i prossimi premi Oscar.
Bisogna anche aggiungere che, come ha sottolineato la produttrice Lina Flint in conferenza stampa, “in Scandinavia c’è una generazione di cineasti cresciuti con il noir e che vuole contribuire con qualcosa di nuovo per il pubblico per elevare il genere”. Möller si inserisce proprio in questa ondata di noir di altissima qualità di scrittura e messa in scena, e lo fa con la forza di un’opera prima brillante e sicura di sé che non inciampa mai.
The Guilty si apre con lo schermo nero e lo squillo insistente di un telefono; quello stesso squillo che per tutti gli 85 minuti del film gli spettatori attenderanno trepidanti. Asger Holm, infatti, è un poliziotto confinato al centralino delle emergenze a causa di un’indagine interna che una notte riceve la chiamata di una donna vittima di un rapimento. Con sangue freddo e abilità, Asger farà di tutto per aiutarla scoprendo però che l’orrore che si cela dietro alla vicenda è più grande di quanto possa immaginare.
Già in Locke, Steven Knight e Tom Hardy erano riusciti a tenerci incollati allo schermo con l’espediente di un solo attore, una telefonata e molti conflitti interiori. In The Guilty lo schema si ripete: anche se il film assume le tinte del thriller e non quelle del dramma famigliare, i conflitti interiori restano e anzi si insinuano subdoli tra le pieghe della storia principale. Chi è realmente il colpevole del titolo? Sul senso di colpa si costruisce tassello dopo tassello l’ossatura del film, fino a esplodere in una serie di rivelazioni mai scontate.
Flint ha raccontato che l’ispirazione per il film nasce da una vera chiamata al 911 presente su YouTube in cui una donna in macchina con il suo rapitore chiama la polizia parlando in codice per non farsi scoprire. Möller, regista e sceneggiatore, rimase particolarmente colpito dal fatto che pur ascoltando solo una registrazione audio, le immagini evocate fossero così nitide da poter quasi apparire davanti ai suoi occhi.
E questo è proprio quello che avviene durante la visione del film. Pur vedendo solo gli ambienti del centralino e il volto di Asger, ciò che accade all’altro capo del telefono appare vivido e reale. I rumori della strada, la voce del rapitore, il respiro affannato della vittima prendono prepotentemente spazio, e i personaggi e le loro azioni compaiono come ologrammi immaginari nella mente dello spettatore. Quando Asger chiude gli occhi o li punta attenti e preoccupati sullo schermo del computer sembra quasi che le strade in cui il furgone bianco fugge si materializzino.
Nei close up del volto teso, preoccupato e stremato di Jacob Cedergren – che regge sulle proprie spalle l’intero film con estremo realismo – è racchiusa la claustrofobia della situazione. Möller costruisce un’opera lucida e incalzante in cui la magistrale interpretazione di Cedergren è totalmente al servizio di una sceneggiatura dal ritmo serrato che cresce gradualmente ed esponenzialmente fino a esplodere. L’urgenza, la tensione, il senso di colpa, la speranza, la tenerezza si alternano sul volto del protagonista, rispecchiandosi negli occhi degli spettatori nel buio della sala.
The Guilty è un’opera prima sorprendente, coraggiosa e perfettamente riuscita. Non si può che augurare a Möller e alla sua squadra di giovani cineasti una carriera luminosa che possa superare sempre di più i confini nazionali.
Condivido completamente la recensione di questo capolavoro, Cedergren (che ho già visto in ‘Omicidi a Sandham’), è veramente magistrale, mi ha tenuto incollata per un’ora e mezza e senza respiro, ho amato l’abilità di scandagliare tematiche importanti e profonde in pochi ma efficaci dialoghi, le atmosfere cupe ma non angoscianti, i lunghi silenzi e le inquadrature spesso in primo piano, la capacità di Cedergren di mantenere le espressioni…ne ho parlato proprio stasera a cena consigliandolo vivamente…