Con la sua ultima opera Wash Westmoreland ha portato sul grande schermo la storia di Sidonie-Gabrielle Colette, l’autrice più innovativa e spregiudicata della Belle Époque parigina.
Profondamente interessato alla realizzazione di questo film, il regista ha impiegato 18 anni per portare a termine il progetto.
La prima stesura della sceneggiatura risale al 2001, quando Westmoreland e Glatzer (co-autori, co-registi e compagni di vita) iniziarono a lavorare al progetto che allora si chiamava Colette e Willy. In quell’anno la coppia conobbe Anne De Jeuvenel, nipote della scrittrice, che mise a loro disposizione tutto il materiale ereditato, poi utilizzato in fase di realizzazione.
“Ogni anno cercavamo di affinare il copione: c’erano talmente tante informazioni, e spesso la vita non corrisponde ad una nitida struttura in tre atti. Adattare la storia al film fu una sfida monumentale”.
Il lavoro di adattamento è durato altri 16 anni, durante i quali Richard Glatzer è morto ed è stato sostituito nella stesura della sceneggiatura da Rebecca Lenkiewicz che, secondo il regista, “ha dato tanto a questo film, freschezza, intuizione, un’ispirazione tutta nuova e una preziosa prospettiva femminile”.
Colette (egregiamente interpretata da Keira Knightley) è rappresentata come un’eroina che appare moderna pur appartenendo a un’altra epoca: una donna arguta, intrigante, che ama vestirsi in maniera androgina, che sta stretta nel ruolo che la società e il marito (Dominic West) le impongono e decide di liberarsene. Ella lotta per riappropriarsi di ciò che le spetta e ha ancora qualcosa da insegnare allo spettatore della nostra epoca.
Primo grande momento di svolta nella storia di Colette è il matrimonio con Willy, che le ha permesso di trasferirsi a Parigi e immergersi nella vivacità intellettuale dei salotti della città.
Spinta dal marito, che la fa pubblicare con il proprio nome, Sidonie scrive le sue prime opere che riscuotono un incredibile successo di pubblico e suscitano in Willy una bramosia sempre maggiore di celebrità, spingendolo a imporle con la violenza ore di scrittura forzata.
Un’ottima metafora di questa iniziale condizione e della successiva evoluzione della scrittrice può essere a mio parere individuata nella figura del cantomimo, che vediamo per la prima volta mentre finge di cantare al posto di una cantante lirica e che successivamente diventa amico, insegnante e infine regista di Colette, portandola in tour con la sua compagnia e aiutandola a realizzare uno spettacolo tutto suo.
Il rapporto con lui e con la sua arte prosegue infatti parallelamente al disgregarsi della relazione tra Sidonie e il marito e alla nascita dell’amore che la legherà a Missy (Denise Gough).
Nei suoi libri Colette racconta attraverso velati riferimenti elementi spesso scandalosi la sua relazione con Willy e le sue avventure amorose. Questo è l’ambito in cui probabilmente la scrittrice appare più moderna e si configura come un esempio tuttora valido, affrontando con arguzia tematiche con cui l’attuale società ancora si scontra.
Degne di nota sono in questo senso due frasi da lei pronunciate a Willy relative alle sue due relazioni extraconiugali. Quando il marito afferma di poter accettare che lei abbia rapporti con una donna ma che non potrebbe accettare di essere tradito con un uomo, lei risponde con decisione: “l’adulterio è questione di genere?” Quando poi, riferendosi a Missy (un transessuale) di cui Colette è innamorata (e con cui avrà una relazione stabile per molti anni anche dopo la fine del matrimonio con Willy), il marito afferma di essere confuso perché “le parole sono maschili o femminili, non ce n’è una per lei”, la scrittrice risponde: “io ne ho in mente due o tre”.
La tematica dell’identità sessuale è affrontata a più livelli in questo film, non solo attraverso l’amante di Colette, che ammette di essere avvantaggiato dall’appartenenza ad una classe sociale elevata (“altrimenti non avrei mai potuto vestirmi con abiti maschili”), ma anche attraverso le scelte di casting: infatti per interpretare Missy è stata scelta un’attrice cisgender, mentre un attore e un’attrice transessuali (Jake Graf e Rebecca Root) hanno interpretato Gaston De Caillavet e la scrittrice Rachilde, entrambi personaggi cisgender.
Con questo film Wash Westmoreland ha realizzato un ritratto della scrittrice (purtroppo poco conosciuta al di fuori della Francia) in grado di fare appassionare lo spettatore alla sua vita e alle sue opere e di fare percepire tutta la grinta e la modernità che l’hanno caratterizzata.