“CHE FARE QUANDO IL MONDO E’ IN FIAMME?” di ROBERTO MINERVINI

Una madre raccomanda ai suoi due figli di rientrare a casa quando si accendono i lampioni. Cosa succede dopo il tramonto? Non una mera premura materna ma piuttosto un sentimento di paura, e la percezione di una minaccia palpabile per una comunità, quella afroamericana di New Orleans, scossa dall’uccisione di Alton Sterling per mano della polizia e da altri episodi di violenza. Dopo Louisiana (The Other Side), Roberto Minervini prosegue la sua attenta indagine sociale con il documentario What You Gonna Do When the World’s on Fire? presentato in concorso alla Mostra di Venezia 2018 e nei cinema dal 9 maggio. Il regista, trapiantato negli States, prosegue l’incursione in Louisiana spostando il suo sguardo più a sud, dove la tensione è alle stelle in seguito alla bollente estate 2017.

Ronaldo (a destra) e Titus in un frame del film.

La macchina da presa sceglie lucidamente, seppur senza ulteriori interventi narrativi, i “protagonisti” del flusso di immagini, posandosi sulla quotidiana semplicità dei due ragazzini impegnati a crescere, Ronaldo e Titus, che la mamma vuole a casa prima dell’imbrunire; e poi, ancora, sulla strenue resistenza di una donna, la cui attività di barista è minacciata dalla gentrification, e su Kevin e il suo gruppo che, attraverso il rito del canto e del cucito, cercano di sedimentare la propria cultura, intrecciata con quella indiana, nella celebrazione del Mardi Gras. Volti e storie di una minoranza nera, attanagliata da “classismo, sessismo e razzismo”, piaghe sociali sempre attuali e solo maldestramente occultate dalla benpensante società americana, a prescindere da qualsiasi avvicendamento sulla scena politica. Pronto a diventare agguerrito portavoce di queste persone c’è un manipolo di ricongiunte Black Panthers, il cui operato, tra beneficenza e sete di verità per i troppi episodi di violenza, scandito dall’incessante grido identitario “Black power”, è documentato senza alcuna intenzione di esprimere un giudizio.

Al regista, marchigiano d’origine e americano d’adozione, non interessa il discorso prettamente politico, che infatti rimane sullo sfondo rispetto a quello puramente antropologico, sostenuto da uno stile maturo, che fissa, con reverenza, nelle inquadrature, impreziosite dal bianco-e-nero, i primi piani dei suoi testimoni. D’altronde, la priorità del cinema di Minervini risiede proprio in una sentita partecipazione che antepone e tenta di cogliere l’essenza umana dei suoi attori sociali.

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