L’ultimo film di Bruce McDonald rispecchia perfettamente il suo titolo, Dreamland, dal momento che è costruito sulle regole e sulla logica tipica delle situazioni oniriche. Fin da subito ci si immerge in un sogno ad occhi aperti in cui i due personaggi principali si trovano coinvolti in una vicenda criminale. Il gangster dal cuore d’oro e il musicista jazz eroinomane, ambedue interpretati dal versatile Stephen McHattie, condividono inoltre una profonda connessione che porta entrambi ad avere visioni di un probabile futuro o di un passato remoto che chiaramente li riguarda. La vicenda diventa man mano sempre più complessa e intricata, arricchendosi di personaggi così spietati e grotteschi da risultare quasi comici.
Dreamland appare come un film profondamente surreale, quasi psichedelico, tanto da spingere lo spettatore a compiere un continuo lavoro cognitivo, a porsi domande per ricostruire la narrazione nella sua totalità. Gli incessanti passaggi, realizzati grazie a un uso sapiente del montaggio, non facilitano questa ricerca di senso: priva di una precisa collocazione spazio-temporale, la vicenda è caratterizzata da un’ininterrotta fluttuazione tra passato, presente e futuro. Dunque le domande non ricevono risposte ma, d’altronde, i sogni spesso sono inspiegabili e in questo caso anche il linguaggio cinematografico restituisce questa dimensione inafferrabile.
Quello di McDonald è anche un film attentamente costruito sui generi cinematografici. Un’immensità di riferimenti e richiami costellano la storia: noir, crime movie, horror, fino ad arrivare alla forma contemporanea del film d’azione in cui la violenza è cruda ed esplicita, il tutto arricchito da buona musica jazz. Il risultato è un pastiche surreale che fonde realtà e immaginazione, tradizione e innovazione. Infatti la sperimentazione risulta essere una componente molto importante, poiché il ricorso ai generi classici funge soprattutto da spunto e pretesto per percorrere invece strade inusuali e originali.
L’affermazione di un personaggio secondario, «siamo in un mondo differente», figura allora come il significato che sta alla base di Dreamland: i sogni sono qualcosa di astratto, irraggiungibile, eppure allo stesso tempo così reali. Per l’essere umano, essi rappresentano la parte che più di tutte dialoga con l’immaginazione e con la fantasia, in grado di trasportare verso terre inesplorate.
Chiara Perillo