«Da a qualche tempo vivo in Repubblica Ceca e poco per volta ho scoperto la sua cultura e, soprattutto, la sua grande storia cinematografica; per questo ho voluto fare un film che fosse un omaggio al cinema ceco degli anni Sessanta»: il regista cileno introduce così la prima proiezione del suo Hra al Torino Film Festival.
Presentato nella sezione Festa mobile, il film è uno dei 107 finora realizzati grazie al supporto del TorinoFilmLab, laboratorio internazionale impegnato nel sostegno di giovani talenti emergenti. Il film è stato sviluppato indipendentemente dal Lab, che è intervenuto nella fase conclusiva della realizzazione. Tuttavia, come ha spiegato il regista alla conferenza stampa, il suo aiuto è stato fondamentale per capire quale potesse essere il canale distributivo migliore per portare nelle sale un film di difficile collocazione, girato in bianco e nero, in rapporto 4:3, girato in ceco e in uno stile che richiama gli anni Sessanta.
Il film, diviso in tre atti, riprende la scansione delle tragedie greche, come l’Ippolito di Euripide che Petr (Jiří Mádl) decide di adattare. Egli persegue con caparbietà e dedizione il proprio progetto, ma gli inconvenienti si susseguono, tra critiche (puntualmente ignorate), tagli ai fondi e sostituzioni degli interpreti. Anche la sua vita privata si sgretola: padre e marito assente, totalmente assorbito dal lavoro, viene lasciato dalla moglie Kateřina (Marika Šoposká) e parallelamente lo abbandona anche l’amante, nonché protagonista dell’opera che si appresta a mettere in scena, Karolina (Elizaveta Maximová).
Attraverso inquadrature che paiono veri e propri tableaux vivants, il cui piacere estetico è accresciuto dalla suggestione del bianco e nero, Almendras dà vita a un film estremamente elegante che affronta il timore universale del fallimento. Quell’insuccesso che siamo abituati a dissimulare, deflagra qui in maniera plateale, costringendo Petr a confrontarvisi: è solo quando tutto e tutti paiono essere contro di lui che il protagonista si mette finalmente in discussione.
Nel momento di massimo sconforto, suo figlio comincia a piangere, e questa sembra la degna conclusione di una pessima giornata. Ma è calmando quel pianto che Petr riesce a riconciliarsi con se stesso: prendendosi cura del bambino trova la forza per andare avanti e ritrovare la serenità. Se per tutto il film lo vediamo preoccupato, avvilito, deluso, nell’ultima inquadratura, su cui indugia la macchina da presa, vediamo una nuova luce sul suo volto.
Valentina Velardi